Pescara: in barca, lungo il fiume degli scarichi

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In barca, lungo il fiume Pescara: in meno di due miglia dalla foce a monte, la nostra telecamera ha ripreso diversi scarichi abusivi.

Ad accompagnarci in barca è il titolare dell'”Ancora”, Oberdan Caposano. Risaliamo il fiume dalla foce a monte e, in meno di due miglia, sono diversi gli scarichi abusivi documentati dalla telecamera di Luca Corneli. Caposano che da 40 anni vive il fiume per il suo lavoro, ci spiega che nulla è stato fatto, finora, nonostante tutti fossero a conoscenza degli scarichi che inquinano il fiume, di conseguenza il mare. Il presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, proprio l’altro giorno aveva effettuato un sopralluogo lungo il fiume, tappando uno degli scarichi abusivi e annunciando che i lavori per i nuovi depuratori sono stati già appaltati. Comune e Direzione Marittima, insieme, hanno evidenziato come siano 48, in totale, gli scarichi fuori legge lungo il corso del fiume Pescara su cui si affacciano anche altri Comuni. Caposano spera che questa sia la volta buona per risanare il corso d’acqua, soprattutto alla vigilia di una stagione estiva che potrebbe aprirsi con i divieti di balneazione su un tratto di costa pescarese. Oberdan Caposano fa un appello a tutti affinché si torni a vivere il fiume che dà il nome alla città di Pescara: da maggio partirà un progetto che prevede un viaggio a bordo di un catamarano che potrà portare fino a 15 persone, per vivere il fiume non dalle sponde, ma lungo il suo corso fin dove sarà possibile navigarlo. C’è la Pagina Facebook Fiumare Abruzzo che presenta l’iniziativa per avvicinare i Pescaresi al loro fiume. Intanto il vice sindaco di Pescara, Enzo Del Vecchio, precisa che assieme alla Polizia municipale il Comune sta effettuando dei campionamenti e una mappatura di tutti gli scarichi per verificare se siano in regola e procedere, eventualmente, alla rimozione. Obiettivo, far sì che la stagione balneare possa svolgersi senza intoppi e le acque, anche quella salate, tornino dolci, in senso figurato, però.

1 Commento su "Pescara: in barca, lungo il fiume degli scarichi"

  1. Antonucci Pasquale | 27/02/2016 di 18:03 |

    Gli scarichi abusivi rappresentano solo una parte del problema Per quale motivo l’Abruzzo è maglia nera in Italia per l’inquinamento batteriologico delle sue acque marine? Come mai una Regione di appena 1.300.00 abitanti circa ha conquistato questo triste primato per il secondo anno consecutivo?

    In molti mi hanno rivolto questa domanda, ultimamente, chiedendomi se ci siano stati cambiamenti o accadimenti tali da peggiorare fino a questo punto la qualità delle nostre acque marine. Il dubbio di molti è: c’entra Bussi? Sì, in qualche modo. Ma per il motivo opposto rispetto a quello che molti, a digiuno di chimica, sarebbero portati a pensare.

    Per rispondere, bisogna innanzitutto fornire qualche chiarimento sui sistemi di disinfezione delle acque attualmente in uso. In particolare, le procedure che vengono utilizzate per l’acqua potabile. Il prodotto di gran lunga più usato è l’ipoclorito di sodio. Poi ci sono l’acido peracetico (nome commerciale: oxistrong) e i raggi ultravioletti. Ne esistono anche altri, ma ci limiteremo ad analizzare questi tre per chiarire meglio quali sono pregi e problematiche legati a ogni singola soluzione.

    VANTAGGI E SVANTAGGI DEI DIVERSI DISINFETTANTI –

    1) Ipoclorito: l’ipoclorito distrugge la quasi totalità dei microorganismi batterici e forma sottoprodotti che comunque impediscono la moltiplicazione dei batteri.

    2) L’acido peracetico: come l’ipoclorito, distrugge la quasi totalità dei microrganismi. Non forma sottoprodotti, ma una volta decomposto (in acido acetico) non impedisce ai microrganismi di moltiplicarsi.

    3) Raggi UV. Questa soluzione non prevede l’utilizzo di prodotti chimici. Nella distruzione di microrganismi è efficace quanto l’ipoclorito e l’acido peracetico. Il problema è che questo sistema non impedisce alle colonie batteriche di riprodursi.

    – LA DISINFEZIONE NECESSARIA –

    L’ipoclorito e i vari composti del cloro sono di gran lunga i più usati in Italia e nel mondo per la disinfezione delle acque potabili. Il «problema» di questa soluzione, rispetto alle altre (acido peracetico e raggi UV, ad esempio), è la formazione di sottoprodotti durante il trattamento delle acque. Questi sottoprodotti possono anche avere effetti negativi a lungo termine sulla salute delle persone. Ma, al momento, si tratta di un «male minore» necessario. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che non si può fare a meno della disinfezione se si vogliono prevenire rischi molto più gravi dovuti ad agenti patogeni presenti nell’acqua potabile. E la stessa Commissione Europea, riguardo alla formazione dei sottoprodotti di disinfezione, afferma che «il rischio diretto e immediato per la salute e per la vita provocato dalla presenza nelle acque di microrganismi patogeni rende impensabile l’abbandono dei processi di disinfezione. I valori parametrici proposti per i sottoprodotti di disinfezione non possono essere pertanto così restrittivi da compromettere la possibilità del processo di disinfezione stesso».

    Insomma, viene ribadita la necessità di trattare e disinfetttare le acque, considerando secondari e accettabili i rischi potenziali o reali che nascono dalla scelta della clorazione come metodo principale per il trattamento delle acque potabili.

    – IL FIUME PESCARA E IL MARE D’ABRUZZO –

    Una volta chiarito che è impossibile non disinfettare le acque potabili, possiamo utilizzare lo stesso approccio per le acque reflue. E capire meglio cos’è successo negli ultimi anni alle acque del fiume Pescara e a quelle del nostro mare.

    Negli anni ’90 i depuratori in Abruzzo usavano come disinfettante l’ipoclorito di sodio. Anche la Montedison/Solvay, che fino al 2007 marciava a pieno regime, immetteva nel fiume Pescara attraverso i suoi scarichi sia i composti clorurati sia l’ipoclorito (entrambi prodotti a Bussi). Queste sostanze impedivano la formazione delle colonie batteriche. Il problema è che, negli ultimi anni, queste sostanze sono praticamente sparite (si è passati dai 200 microgrammi per litro di clorurati presenti nel fiume Pescara negli anni ’70 a una concentrazione inferiore a un microgrammo per litro dopo il 2011). In questo modo, nel fiume Pescara, si sono create le condizioni ideali per la crescita e la proliferazione di batteri. Aggiungiamoci, poi, il fatto che l’ACA utilizza nella parte finale della disinfezione l’acido peracetico e possiamo intuire come la combinazione di questi fattori abbia contribuito a peggiorare la qualità delle nostre acque.

    A Pescara, si sono sommate due distinte criticità: le acque prive ormai di copertura (vista l’assenza dei composti clorurati) e i danni provocati dalla diga foranea che impedisce alle acque del fiume Pescara di disperdersi nel mare aperto e far completare l’opera di disinfestazione al cloruro di sodio e ai raggi ultravioletti del sole. Ecco perché appare condivisibile la proposta fatta di recente da Confesercenti: come illustrato ai microfoni del Tg8 dall’Architetto Nino Catania, la soluzione individuata sarebbe quella di far defluire le acque del fiume Pescara più a largo, oltre la diga foranea, e aspettare che il sale e i raggi ultravioletti del sole completino l’opera di distruzione dei microorganismi.

    Oltre a questa modifica, sarebbe però opportuno tornare all’utilizzo del vecchio ipoclorito all’uscita dei depuratori. Ogni tanto, qualche sovradosaggio non farebbe certamente male, considerando che circa il 30% delle acque reflue in Abruzzo non passa attraverso i depuratori, e tenendo presente che i piccoli depuratori funzionano male e durante le forti piogge tutti i depuratori smettono di funzionare.

    Una cosa è certa: a difenderci dai batteri che proliferano al largo, rendendo il nostro mare tra i peggiori d’Italia, non saranno le chiacchiere o le buone intenzioni; serve la chimica.

    Pasquale Antonucci

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