Domenica 8 e lunedì 9 giugno si vota per cinque referendum abrogativi: anche in Abruzzo seggi elettorali aperti dalle 7 alle 23 l’8 e dalle 7 alle 15 il 9 giugno
In occasione della consultazione referendaria anche in Abruzzo i seggi elettorali saranno aperti dalle 7 alle 23 di domenica 8 giugno e dalle 7 alle 15 di lunedì 9 giugno. Attraverso il referendum abrogativo i cittadini possono scegliere se eliminare, in toto o in parte, una determinata norma.
Affinché il voto sia valido occorre che si rechi alle urne almeno la metà degli aventi diritto (solo così si raggiunge il quorum), ma si tratta di un’eventualità ritenuta altamente improbabile. Sarebbero oltre 25,5 milioni gli italiani che dovrebbero recarsi alle urne, decisamente in controtendenza rispetto a quanto accaduto negli ultimi 30 anni: solo 4 dei 29 referendum organizzati hanno ottenuto il quorum. Tuttavia il numero dei votanti e l’orientamento delle risposte avrà comunque un peso politico, in un senso o nell’altro.
Potranno votare coloro che si trovano fuori dal Comune di residenza, purché abbiano presentato la domanda entro il 5 maggio. Voto aperto anche agli italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) e quelli che si trovano temporaneamente fuori dall’Italia per motivi di lavoro, studio e cure mediche, a patto che abbiano fatto la richiesta entro il 7 maggio. Le indicazioni utili sono sul sito del ministero degli esteri.
Dei cinque referendum al vaglio degli italiani l’8 e il 9 giugno quattro vertono sul lavoro, uno sulla cittadinanza. I quesiti sono riportati ognuno su una scheda di colore differente e si votano singolarmente, il che significa che un cittadino può votarne anche solo uno o alcuni.
I QUESITI REFERENDARI
La cittadinanza italiana
Il quesito referendario è stato promosso da +Europa. La proposta di abrogazione riguarda l’articolo 9 della legge 91 del 1992 che ha alzato il periodo di soggiorno legale ininterrotto in Italia necessario per presentare richiesta di cittadinanza. La legge attuale impone un’attesa di almeno dieci anni per ottenere la cittadinanza italiana, anche a lavoratori e lavoratrici e ai giovani nati o cresciuti in Italia. Il referendum propone di ridurre questo periodo a cinque anni e di garantire il diritto alla cittadinanza anche ai figli e alle figlie minorenni.
Il quesito oggetto del referendum non modifica gli altri requisiti per ottenere la cittadinanza italiana: conoscere la nostra lingua, avere un reddito stabile e non avere commesso reati. I promotori del referendum ricordano che anche oggi, per le lungaggini burocratiche, gli anni necessari per ottenere la cittadinanza possono essere anche 13. La stessa cosa, cioè la possibilità che i tempi si allunghino anche di tre anni, accadrebbe se il termine venisse ridotto a cinque.
I QUESITI SUL LAVORO
I quesiti sul lavoro riguardano il jobs act, la legge sul lavoro introdotta nel 2015 dal governo di Matteo Renzi, e alcune norme approvate tra il 2008 e il 2021 sulla responsabilità solidale delle aziende committenti in caso di infortunio e malattia professionale dei lavoratori in appalto. Sono stati proposti dalla CGIL e sono sostenuti da PD, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra.
Contrari all’abrogazione, oltre ai partiti della maggioranza di governo, anche Azione e Italia Viva, il partito di Renzi (che all’epoca, da segretario del Pd, sostenne il jobs act).
1 – Licenziamenti illegittimi
Il primo quesito sul lavoro punta all’annullamento delle norme sui licenziamenti che consentono di non reintegrare un lavoratore licenziato in modo illegittimo se assunto dopo il 2015. In sostanza si chiede di abrogare la disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti prevista dal jobs act: attualmente le persone assunte dopo il 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 dipendenti non devono essere reintegrate dopo un licenziamento illegittimo, anche se il giudice stabilisce che l’interruzione del rapporto di lavoro era stata ingiusta o infondata.
È invece previsto un indennizzo economico tra le 6 e le 36 mensilità di stipendio. Se la norma attuale venisse abrogata, si tornerebbe all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori modificato dalla legge Fornero del 2012. Semplificando, significherebbe che, in alcuni casi, tornerebbe possibile il reintegro della persona nel posto di lavoro (in aggiunta al risarcimento economico).
2 – Limite d’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese
Il secondo quesito che riguarda il lavoro punta all’eliminazione del limite d’indennità per i lavoratori ingiustificatamente licenziati nelle piccole aziende. Attualmente, in caso di licenziamento illegittimo, l’indennità ricevuta è pari massimo a sei mesi di stipendio. L’obiettivo dei proponenti è aumentare le tutele per chi lavora in aziende con meno di 16 dipendenti. La riforma abrogherebbe il limite delle sei mensilità e affiderebbe ad un giudice il compito di decidere l’indennità da corrispondere al lavoratore, sulla base di una serie di criteri: gravità della violazione, età, carichi di famiglia e capacità economica dell’azienda.
3 – Contratti a termine
Il terzo quesito sul lavoro, riferito sempre al jobs act, punta all’eliminazione di alcune norme relative ai contratti a tempo determinato, modalità che, secondo la CGIL, riguarda circa due milioni e 300mila persone. Oggi i contratti a termine possono essere stipulati fino a 12 mesi: è il datore di lavoro che sceglie e la sua scelta è insindacabile, ossia non ha bisogno di fornire una precisa motivazione. L’obiettivo del referendum è limitare il ricorso a questo tipo di contratti anche reintroducendo l’obbligo di indicare una “causale” per la scelta della tipologia a termine anziché a tempo indeterminato.
4 – Responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni
Il quarto quesito sull’occupazione punta all’aumento della responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni sul lavoro o malattie professionali. Attualmente la norma prevede che il datore di lavoro committente, in caso di infortunio, sia responsabile in solido con l’appaltatore e i subappaltatori per i danni subiti da lavoratori senza copertura assicurativa. La stessa legge tuttavia esclude questa responsabilità nel caso in cui i danni siano causati da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore. Eliminando quest’ultima clausola, la responsabilità verrebbe estesa all’imprenditore committente.