Tra le iniziative messe in campo nella Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, spettacoli, incontri pubblici, ma poche manifestazioni in strada, tra queste certamente d’impatto la performance della poetessa pescarese e psicologa Chiara Ballone.
“Love woman”, questo il titolo della rappresentazione, nei giorni scorsi, in pieno centro a Pescara, da parte della potetessa pescarese Chiara Ballone. 600 chiodi su un tappeto rosso sangue nel centro di Piazza della Rinascita, il cuore di Pescara. I chiodi come simbolo di sacrificio, di espiazione del peccato originale attribuito per secoli al femminile, già dalla prima donna Eva, ma anche come possibilità di resurrezione dalla sofferenza. 600 come il numero di donne uccise per mano di uomini che amavano negli ultimi 4 anni, una ogni due giorni. Ogni chiodo rappresenta una donna e la sua storia a comporre un’incisione d’amore: “Love woman”, perché il femminile, le donne, vanno amate e rispettate semplicemente, come ogni essere vivente. Auspicando a una società dove non ci sarà più necessità di salvarle o proteggerle dagli uomini, perché si vivrà in armonia nelle proprie differenze.
600 chiodi di dolore da accarezzare, di cui ascoltarne il pianto, su cui danzare, che si fanno poesia, messaggio di umanità. Un collare al collo tiene legata la donna (performer) a un palo, come un cane abbandonato nella sua fedeltà cieca, un guinzaglio di filo rosso sottile come arterie, come legame di sangue e vita che limita il movimento, ma non arresta il desiderio di libertà e allora la piazza principale della città diventa il teatro di quell’anelito inarrestabile di rinascita nell’essere umano. Anche legata la donna balla la sua danza creando geometrie di mondi. Ha le mani costrette da manette d’acciaio e più prova a liberarsi più i fili le annodano i piedi, le gambe, il corpo, il collo, tutto quello che la tiene legata è metafora dell‘amore tossico, violento che può arrivare ad essere un cappio intorno alla gola e portare alla morte. La violenza come un amore incapace di verbalizzare se stesso, nella performance infatti non c’è voce, né musica. Solo la danza disperata che anela la sua stessa possibilità di esistere e di salvarsi. Perché le uniche a potersi salvare spesso sono solo le donne, imparando ad amarsi e capendo che devono allontanarsi da quegli uomini violenti che spesso giustificano per amore. Solo rialzandosi da terra, ritrovando loro stesse, rimettendosi al centro della propria vita e guardando di nuovo il cielo è possibile scoprire che quelle manette non erano mai state del tutto legate, che quella corda al collo si poteva spezzare trasformano la propria sofferenza in amore per se stesse. Contro ogni forma di violenza, l’arte ci dona la possibilità di creare bellezza e rendere possibile ciò che pensavamo impossibile, come risorgere dalle ceneri dei traumi e restare stelle d’acciaio fisse nel firmamento come testimoni immortali per una nuova rinascita del femminile. L’intera performance raccontata per immagini dal fotografo Manuel Vallescura.