Scuole, coro di no contro il “docente esperto”

Levata di scudi dei sindacati contro il provvedimento del governo che prevede la nascita della figura del docente esperto che sarà operativo tra dieci anni. Dopo aver superato tre corsi di formazione triennali con valutazione positiva potrà godere di un aumento di stipendio pari a 5.650 euro annuali lordi. Per lo Snals la proposta va bocciata e rispedita al mittente

<Il docente esperto. Un’altra trovata estemporanea che un governo in carica, solo per la gestione ordinaria, cerca di imporre subdolamente e senza la minima condivisione delle parti interessate>: così il segretario regionale dello Snals Abruzzo Carlo Frascari il quale afferma che la decisione ha scatenato polemiche vivaci ed una levata di scudi così forte da far tremare il palazzo del potere e, soprattutto, le varie segreterie politiche oggi affannate a preparare una campagna elettorale a dir poco infuocata.

Sulla vicenda il segretario Frascari è molto chiaro ed evidenzia: < la proposta va bocciata e rispedita al mittente. Qui si deve parlare di “docente esasperato” altro che di “docente esperto”. In questo caldo agosto pre-elettorale è piombato sulla scuola italiana un ennesimo tentativo di proporre una carriera interna del corpo docente, di cui si discute da anni, attraverso la figura del docente esperto. A parte l’ennesima invadenza del governo su materie di natura contrattuale (ma nessuno si illuda che il sindacato ormai si è abituato a questo scempio del diritto del lavoro), la singolare “invenzione” ha molti aspetti che la rendono non solo inaccettabile ma addirittura dannosa per la scuola.
La prima domanda è: se per gli esperti viene mantenuto lo stato giuridico funzionale del docente “normale” quale utilità ne deriva per il sistema? Si potrebbe rispondere che occorre premiare chi fa lunghi e impegnativi percorsi di aggiornamento con valutazione finale. Ma se così fosse non si può limitare ad un numero insignificante (meno del 6% nel totale degli anni fino al 2035!) l’accesso a tale profilo. Agli altri “non esperti” tocca guardare con invidia il collega che percepisce circa 400 euro di aumento mensile. Dalla dubbia selezione con regalo finale perché sono esclusi i docenti che andranno in pensione prima del 2032? Forse sono colpevoli di essere troppo vecchi?
Come si può proporre ad una categoria peggio pagata in Europa e con contratto scaduto da 3 anni, di accontentarsi di sperare nel giudizio di strampalate commissioni per avere un riconoscimento della propria professionalità?
Si afferma che sia necessaria una formazione continua del docente. E’ vero. Ma il restante 94% di “normali” deve quindi tentare il terno al lotto con estrazione decennale e con aggravio di lavoro, spinto dal premio per aver fatto un percorso di aggiornamento?
Tutti i docenti dovrebbero fare percorsi periodici e obbligatori di formazione in servizio, con esonero dal lavoro. Così ci sarebbe il rispetto per gli alunni e per i docenti. Ed invece alla esasperazione del corpo docente si aggiunge, con questa norma, un altro schiaffo per demotivare chi lavora da anni con impegno e professionalità nelle classi senza che nessuno abbia mai pensato di retribuirli con dignità. Infine vorrei lanciare una domanda provocatoria. Perché non si introduce un medico “esperto” oppure un poliziotto “esperto”? Forse perché alla scuola si può chiedere di ingoiare di tutto>.

La riforma della formazione e del reclutamento degli insegnanti, recentemente approvata in via definitiva dal Parlamento, ha fissato alcuni principi: per diventare docenti vengono previsti un percorso universitario iniziale, concorsi annuali e una formazione continua lungo tutta la vita lavorativa.

Alla base di tutto questo processo c’è la formazione introdotta dal recente decreto legge che sarà gratuita e coinvolgerà circa 280.000 insegnanti l’anno. La legge prevede, in particolare, un percorso di formazione in servizio, rivolto ai docenti di ogni ordine e grado del sistema scolastico statale che, al termine di un triennio formativo e a seguito di una valutazione positiva, consente di riconoscere all’insegnante “un elemento retributivo una tantum di carattere accessorio, stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale” tra il 10 e il 20 per cento del trattamento stipendiale.

L’articolo 37 stabilisce che <i docenti di ruolo che abbiano conseguito una valutazione positiva per tre percorsi formativi consecutivi» possono maturare il diritto ad un assegno ad personam di importo pari a 5.650 euro annui che si sommano al trattamento stipendiale. Si tratta di risorse pari a un incremento del 15% dello stipendio medio. A questi insegnanti viene attribuita la qualifica di “esperto” e saranno un valore aggiunto per tutta la loro comunità scolastica, supportandola nel miglioramento dell’offerta formativa complessiva>.

La riforma, con l’ultimo tassello approvato, consente di istituire, a regime, un contingente di 32mila docenti esperti (8.000 l’anno dal 2032/33 al 2035/36), creando così, all’interno di ciascuna istituzione scolastica, un nucleo di insegnanti che sono in media 4 per ogni scuola.

Molti i commenti anche sui social network dove c’è chi si chiede se ne varrà la pena, a causa dell’inflazione galoppante e quanto varranno 5.600 euro nel 2032. Chi valuterà i docenti “esperti”?
Si rischiano fenomeni “patologici”, come la “la tesaurizzazione e/o gestione gerarchica di informazioni, macchinari e programmi informatici, la lotta in concorrenza per le competenze fra le varie “figure” laddove si dovrebbe invece andare alla massima diffusione gratuita del sapere. Diversi docenti commentano chiedendo “Rinnovateci il contratto!” oppure constatando che “Grazie al cielo tra dieci anni dovrei essere già in pensione…”.

Anche la Federazione lavoratori della conoscenza della Cgil di Chieti interviene con un comunicato stampa nel quale evidenzia: <Dopo la pandemia ci aspettavamo un segnale sulla scuola; un segnale forte e chiaro.  Invece è partita la provocazione del “docente esperto”. E’ l’attivazione di provvedimenti che divideranno il personale, distribuendo mance, senza intervenire contrattualmente sui profili professionali, sulla valorizzazione del lavoro che si fa nelle scuole, sulla collegialità che garantisce i migliori risultati.

Mentre in questi giorni (fino al 16 agosto) oltre 5.000 docenti  precari della provincia di Chieti sono impegnati a compilare on line moduli per sperare in una chiamata dalle GPS (graduatorie provinciali supplenze) e mentre dei 467 posti autorizzati per il ruolo,  oltre un terzo non è stato attribuito per mancanza di candidati nelle graduatorie, la situazione alla ripartenza della scuola, purtroppo, anche per il prossimo anno scolastico non sarà buona.

Non è stato confermato l’organico Covid (organico aggiuntivo che avrebbe dovuto essere strutturale);  nel 21-22 era stato ridotto, per il prossimo anno scolastico è prevista la sua  cancellazione. E’ un grande errore perché quell’organico serve per garantire le ordinarie funzioni delle scuole, la sicurezza, la vigilanza a iniziare da  quelle dei collaboratori scolastici. Serve per avere tempi scolastici distesi,  per recuperare quanto perso con i tagli  agli organici e con la pandemia.

Invece questo governo ha previsto per i prossimi anni, nella legge di bilancio, un taglio degli investimenti  sulla spesa corrente nella scuola e le risorse del PNRR non sono state accompagnate da un intervento su tempo scuola, organici, risorse, riduzione del numero di alunni per classe, dimensionamento scolastico  capace di garantire un’adeguata offerta formativa territoriale, con un’attenzione alle aree interne. Purtroppo a decidere sulla scuola continua a essere il ministero del Tesoro che insieme a Palazzo Chigi hanno una sola  idea: quella  di risparmiare sulla spesa corrente nell’istruzione pubblica.

Così resta al palo anche  il CCNL, scaduto nel 2018. Occorrono più risorse per il  rinnovo del contratto collettivo  nazionale di lavoro; tra i contratti dei settori pubblici è l’unico che non è stato rinnovato. Questo la dice lunga sull’attenzione che c’è nei confronti dei settori dell’istruzione.

Le scuole della provincia di Chieti hanno chiesto più organici sia di docenti che di ATA. La risposta è arrivata con il contagocce. Ci sono scuole che, per numero di plessi, avranno difficoltà a tenere aperte le numerose sedi. Abbiamo chiesto -con insistenza- all’Ufficio scolastico provinciale di accogliere le richieste di maggior organico fatto dalle scuole. Il risultato è stato deludente e discrezionale.

In un contesto in cui si chiede alle istituzioni scolastiche di fare un lavoro in più per aderire ai progetti previsti dal PON e dal PNRR e di sobbarcarsi un aggravio notevole, con organici ridotti al lumicino, si continua con provvedimenti che penalizzano la scuola pubblica anche in provincia di Chieti.

Chiediamo ai decisori politici di fare la propria parte per evitare che, con il declino della scuola pubblica, ci sia anche quello del territorio>.