Morte Juan Carrito, proposte soluzioni per limitare gli incidenti

In paesi come Norvegia, Svezia, Australia o Giappone sono diventati parte del paesaggio, ma anche l’Europa sta imparando a declinarli: sono gli ecodotti

Una sorta di corridoi riservati alla fauna selvatica che, sotto o sopra le grandi arterie stradali, offrono un efficace bypass di sopravvivenza all’animale, ma permettono anche di salvare l’uomo evitando molti incidenti autostradali. Gli ecodotti sono solo uno dei possibili rimedi ai pericoli cui è esposta la fauna selvatica. Da anni, anche e soprattutto in Abruzzo, la regione dei parchi, le associazioni ambientaliste parlano di limiti di velocità, dossi, dissuasori, reti e segnali catarifrangenti. Tuttavia, Stefano Civitarese, di Salviamo l’orso, e Augusto De Santis, del Forum H2O, hanno evidenziato al Tg8 che le misure prese fin qui sono del tutto insufficienti. E intanto sulla morte dell’orso più famoso al mondo interviene anche Legambiente: “Non di sola conservazione ci si deve occupare nella gestione degli orsi, ma anche di strade, di rifiuti, e di comportamenti umani. Serve un nuovo patto tra parchi e comunità locali e accelerare sulla messa in sicurezza delle infrastrutture a partire dalle strade con interventi di road ecology”.

Juan Carrito l’orso bruno marsicano più raccontato dai media negli ultimi anni, secondo la ricostruzione dei fatti, è stato travolto e ucciso da un’auto lungo la strada statale 17 all’altezza di Castel di Sangro in provincia dell’Aquila. È morto su una strada che collega il Parco nazionale della Maiella e il Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, le due aree protette che in questi anni si sono presi cura del plantigrado che, per i suoi comportamenti confidenti, era osservato e monitorato dai tecnici dei due parchi e di quelli della Riserva regionale Monte Genzana Alto Gizio nei pressi della quale era nato da una cucciolata di quattro orsi partoriti dall’orsa Amarena. Per Legambiente la morte dell’orso Carrito apre nuovamente una importante riflessione sulla conservazione e gestione di questa specie, legata anche ai comportamenti umani, alla gestione dei rifiuti e alla messa in sicurezza delle infrastrutture a partire dalle strade con interventi di road ecology.

“L’orso bruno marsicano Juan Carrito – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – ha vissuto la gran parte del suo tempo terreno, non tra le montagne appenniniche, ma libero tra le persone e le case, e lungo le strade trafficate della marsica. Poteva essere catturato e confinato a vita in una gabbia, ma si è opportunamente deciso di farlo vivere da animale selvatico valutando i rischi che i suoi comportamenti confidenti poteva comportare. Noi consideriamo questa scelta l’unica, la più opportuna, ma anche la più difficile da attuare anche perché chi ha dovuto gestire l’orso, ha dovuto fare i conti con i limiti di un’azione di gestione che non dipende solo dai tecnici o dai responsabili dei parchi. Non di sola conservazione ci si deve occupare nella gestione degli orsi, ma anche di strade, di rifiuti, e di comportamenti umani e per mantenere la popolazione di orso bruno marsicano in una condizione favorevole, bisogna partire dalle persone che con i propri comportamenti incidono sul futuro libero o in cattività della fauna selvatica. È poi fondamentale accelerare sulla messa in sicurezza delle infrastrutture a partire della strada con interventi di road ecology”.

“Sebbene la storia di quest’orso – dichiara Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente – non sia differente da quella di altri simili che hanno subito un destino analogo, i comportamenti estremamente confidenti hanno reso Juan Carrito un’attrazione per i luoghi che frequentava, per le pasticcerie e le cucine dei ristoranti stellati che visitava. Anche se, più che un’attrazione, era l’orso a essere attratto dal cibo che trovava con facilità tra i rifiuti dei centri abitati che frequentava da quando era nato, rovistando tra i resti della nostra inciviltà che contribuisce negativamente sui comportamenti di questo e di altri selvatici. Proprio qualche giorno fa abbiamo presentato Parchi nazionali rifiuti free, il primo report sulla raccolta differenzia dei comuni dei parchi nazionali, sottolineando che una inadeguata gestione dei rifiuti fosse anche un problema per la gestione della fauna selvatica e, possiamo confessarlo, la storia di Carrito che frequentava i cassonetti di Roccaraso ci ha fornito l’incipit per il nostro lavoro. Per questo torniamo a ribadire anche l’importanza di un nuovo patto tra parchi e comunità locali. Per realizzare la transizione ecologica è importante che le aree naturali protette, oltre a mantenere efficienti gli ecosistemi e tutelare le specie a rischio, non perdano la sfida di accompagnare i territori e le comunità locali verso scelte green e politiche di sviluppo innovative basate sulla qualità ambientale, la tutela della biodiversità e la coesione territoriale”.