Nuovo capitolo del “caso Bisegna”: nel paese di 212 abitanti si vota per eleggere sindaco e consiglieri, un micro ballottaggio dovuto al pareggio del primo turno
Di Bisegna se n’è parlato molti in questi tempi elettorali: i 25 candidati a sindaco per altrettante liste in un paese di 212 non potevano non destare scalpore. Il pareggio 83 a 83 voti di due dei 25 candidati ha fatto il resto. È nato così il caso Bisegna, alimentato da un’inedita necessità di ballottaggio in un comune ben al di sotto dei 15.000 abitanti previsti dalla legge elettorale.
Lo spareggio è iniziato oggi alle 7, orario in cui a Bisegna come altrove si sono aperte le urne, sia per i referendum che per i ballottaggi (dove previsti).
Bisegna, che si trova in provincia di L’Aquila, è un borgo medievale considerato la porta nord del Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, a 1210 metri sopra alla Valle del Giovenco.
Oggi fino alle 23.00 e domani fino alle 15.00 i cittadini possono scegliere chi amministrerà il Comune tra Maurizio Conte e Donato Buccini, i due candidati che nella prima tornata hanno ottenuto la perfetta parità, 83 preferenze ciascuno, con due schede nulle e un solo voto attribuito a una delle altre 23 liste. In totale 25, con 250 candidati consiglieri a fronte di 212 abitanti.
Gli iscritti nelle liste elettorali sono 171. Tra i non votanti ci sono i bambini, che per andare a scuola devono raggiungere Ortona dei Marsi, a una decina di minuti d’auto, o Gioia dei Marsi, ad almeno mezz’ora. Un’abitudine per chi vive su queste montagne, le cui vicende ricordano quelle raccontate nel film di Riccardo Milani ‘Un mondo a parte’. Bisegna d’inverno è spesso un borgo innevato e solitario, ma d’estate si popola di turisti in visita al Parco nazionale d’Abruzzo.
Il paese ha attirato diversi aspiranti consiglieri comunali, i quali tuttavia non sono sembrati tutti animati dal sacro fuoco della politica. Infatti solo quattro liste sono state collegate a partiti e movimenti locali, le rimanenti 21 erano composte in gran parte da agenti di polizia penitenziaria provenienti da altre regioni che hanno potuto godere di un mese di aspettativa retribuita per la campagna elettorale.
Nei Comuni sotto mille abitanti, infatti, la legge non richiede la presentazione delle firme. Una prassi definita “comportamento scorretto permesso da una legislazione che non ha alcuna giustificazione” dall’ex deputato abruzzese Gianni Melilla che già a maggio ricordava:
“Da parlamentare presentai una proposta di legge per abolire questo privilegio e anche emendamenti alla legge di stabilità per accelerare il cambiamento normativo. Ma, pur essendo del tutto comprensibile, questa iniziativa non fu mai accolta. Personalmente non ho mai capito il motivo di questa complicità politica con una norma assurda”.
