Duecento anni fa nasceva Silvio Spaventa. A Roma le iniziative volute dal senatore D’Alfonso

Per il senatore D’Alfonso: “I suoi insegnamenti  sempre utili a garantire il bene comune”. Al via questa mattina a Roma, in Senato, le celebrazioni del bicentenario della nascita dello statista abruzzese Silvio Spaventa.

E’ spettato al senatore Luciano D’Alfonso l’onore di organizzare l’evento inaugurale in collaborazione con il Comitato Nazionale Bicentenario presieduto dal giudice della Corte Costituzionale Filippo Patroni Griffi,  Presidente emerito del Consiglio di Stato.

Silvio Spaventa da intellettuale europeo a statista nell’Italia Unita” il titolo scelto per l’iniziativa a cui hanno preso parte anche il presidente della Fondazione Spaventa, Raffaele Bonanni,   la Vice Presidente del Parlamento Europeo, Pina Picierno, il Rettore della Lumsa,  Francesco Bonini, il Prorettore dell’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara  Stefano Trinchese ed il professor Enzo Fimiani della D’Annunzio.

Un percorso quello di Silvio Spaventa che raggiungerà vette altissime partendo il 10 maggio del 1822 dal piccolo comune di Bomba, nel Chietino, dove i suoi genitori Maria Anna Croce ed Eustachio avevano già dato alla luce, cinque anni prima, il fratello Bertrando futuro celebre filosofo della scuola napoletana hegeliana.

“I geni di famiglia e l’aria di casa, in cui non mancarono mai pane, filosofia e amore per l’impegno politico liberale, spinsero Silvio Spaventa ad una tale quantità e qualità di ruoli – scrive D’Alfonso – da comporre un medagliere accademico, ma anche corsaro che, nel 2011, il professor Luigi Gentile descrisse. Come onorare questi 200 anni che ci separano dalla sua nascita – si è chiesto nel suo intervento il senatore D’Alfonso -. Come fertilizzare oggi  il suo insegnamento? Sicuramente avvicinando alla sua memoria  le giovani generazioni  di studenti e di politici che lo conoscono appena o che lo confondono ancora col pur meritevole Luigi Spaventa (il compianto esponente politico e più volte ministro degli anni ’90). C’è un fil rouge  tutt’ora luminoso nel pensiero e nelle azioni post-unitarie di Silvio Spaventa: “Fu sua l’intuizione  che poi  tradusse in battaglia della  necessaria creazione di quelle infrastrutture utili a garantire parità di condizioni a tutti e a unificare davvero l’Italia. Pensiamo solo alla battaglia per la nazionalizzazione delle ferrovie : lui – espressione riconosciuta della destra storica – solleva l’esigenza di una legge che facesse la nazionalizzazione della rete ferroviaria che, monca e frammentata, era in mano a gestori privati, del tutto disinteressati allo sviluppo e alla efficienza della rete ferroviaria nazionale. Silvio Spaventa sapeva che avrebbe creato  problemi ai rapporti di consenso della sua area politica, ma seppe far prevalere la ragione di ciò che andava fatto: non sarebbe stata un’altra guerra a unificare l’Italia, ma sarebbero state le infrastrutture ferroviarie a unire e ‘fare’ gli italiani”.

( Silvio Spaventa)

“A distanza di un secolo e mezzo proviamo a riattualizzare e chiediamoci  – ha incalzato D’Alfonso – quanto dobbiamo fare ancora per avere infrastrutture che donino parità di opportunità. Proprio stamattina, in Commissione, alla Commissaria per le finanze per l’Europa abbiamo detto che sì, l’Europa è dominata dalla competizione, ma anche dalla coesione che vuol dire appunto infrastrutture unificanti come Spaventa le intendeva. Silvio Spaventa tornava sempre a Bomba (come suol dirsi pare da un suo intercalare) chiedendosi incessantemente  se e come poter limitare il potere pubblico e i suoi potenziali abusi. Nel mio paese  – ha ricordato D’Alfonso – la mia bisnonna salutava tutti chiedendo “come va la pratica?”. Era la pratica di rinnovo delle terre civiche, ma era diventato un modo comune di salutare: era la misurazione continua  dei limiti che lo Stato, sempre più gonfio e invadente, si era o non si era dato. Per Silvio Spaventa l’esigenza di misurazione di questi limiti è fondamentale, altrimenti possiamo arrivare a rendere legale tutto, basta fare una legge, omettendo però la cultura del limite, a danno di quel patrimonio di valori che sentiamo legittimi e  invalicabili”.