Suicidio assistito in Toscana: oggi su il Centro l’intervista rilasciata dal padre di Daniele Pieroni, Mario
“La vita in gabbia! Voleva fare qualunque cosa, ma non poteva più farla. La tortura peggiore. Aveva l’affetto e il rispetto di persone che andavano a confrontarsi con lui. Aveva dei bellissimi amici vicini fino alla fine”. Così in un passaggio di un’intervista sul quotidiano “Il Centro” al direttore Luca Telese, Mario Pieroni, 88 anni, pescarese, artista e promotore dell’arte contemporanea tra i più importanti nel panorama internazionale, padre di Daniele, il primo a ricorrere al suicidio assistito in Toscana dopo l’entrata in vigore della legge regionale su tempi e modalità di accesso al fine vita.
“Daniele – racconta il padre Mario – ha fatto tutto da solo: ha preso questa decisione, ha pianificato un percorso, ha contattato lui l’associazione Luca Coscioni, che lo ha assistito. Ha deciso da solo, infine, la data del suo suicidio assistito. Forse solo io e la madre di Daniele sapevamo cosa sono stati davvero, per lui, questi dieci anni e passa di malattia. Bisogna sapere sempre di cosa si parla. Noi sapevamo che la sofferenza di Daniele per il Parkinson era cresciuta sempre di più, nel tempo. Fino a diventare… pazzesca. Ho amato questo figlio per una vita, l’ho visto fare cose straordinarie, ho avuto la fortuna di poterne essere orgoglioso. Ma lo sono ancora di più per come ha vissuto questo capitolo finale”.
“Era attaccato – ricorda il padre – ad un cannello 24 ore su 24 per alimentarsi. Non aveva più lo stomaco. Era assediato da sindromi collaterali. Un corpo come una macchina che collassa. L’arte e la cultura hanno preservato una sua forza integra. Fino all’ultimo verso. Per la sua poesia non c’erano barriere architettoniche. Tutto questo interesse mediatico intorno alla sua figura mi colpisce. Chiamano tutti. E io forse deludo qualcuno dicendo: si è spento serenamente. Non c’è una storia morbosa, dietro».
“Daniele – prosegue ancora Mario Pieroni nell’intervista – è sempre stato un figlio particolare: era sempre ligio ai suoi doveri, ai suoi compiti. Dotato di un enorme senso di responsabilità, in tutto. Ha vissuto i suoi ultimi giorni con grandissima dignità. Non è scontato in quella condizione. Ci aveva anticipato la sua scelta, come avrà già compreso. Ma ho capito che il tempo era avvenuto solo quando mi ha mandato la sua ultima poesia. Mi è arrivata via Whatsapp. Un trillo del telefonino. Poi ho letto quel primo verso: ‘L’ultimo colpo di scure/si abbatte sulla vita acre’. Quello per me era un messaggio di un figlio, ma capivo allo stesso tempo che era anche l’addìo di un poeta”.

