Anche in Abruzzo fino alle 15 di lunedì urne aperte per i 5 referendum abrogativi in materia di lavoro e cittadinanza
I seggi elettorali saranno aperti anche lunedì 9 giugno, dalle 7 alle 15. Il voto sarà valido se almeno la metà più uno degli aventi diritto si recherà alle urne (solo così si raggiunge il quorum). In pratica oltre 25,5 milioni di italiani dovrebbero almeno ritirare i certificati elettorali affinché si raggiunga il quorum necessario perché il voto produca effetti. Tuttavia, se questo non dovesse accadere, – storicamente, con poche eccezioni, l’Italia non è molto partecipativa ai referendum – il numero dei votanti e l’orientamento delle risposte avrà comunque un peso politico, in un senso o nell’altro.
È importante sapere che quando si va a votare per uno o più referendum l’elettore che si rifiuta di ritirare tutte le schede non può essere considerato come votante e non deve quindi essere conteggiato tra i votanti.
Differenza tra astensione e non ritiro delle schede
Se si ritira la scheda (anche se poi ci si astiene) si contribuisce al quorum. Se non si ritirano le schede non si contribuisce al quorum. Questa seconda opzione è quella annunciata, per esempio, dalla premier Giorgia Meloni, con l’intento dichiarato di non contribuire al raggiungimento del quorum. Senza quorum, anche una prevalenza schiacciante dei Sì non produrrebbe effetti.
Se invece l’elettore ritira le schede e, senza neppure entrare in cabina, le restituisce al presidente di seggio, viene conteggiato come votante e la scheda annullata.
Inoltre, è bene sapere che l’elettore può astenersi dalla partecipazione al voto per uno o più quesiti referendari, ritirando la scheda per alcuni e rifiutandola per altri. Sono gli scrutatori che devono annotare, a fianco del nome dell’elettore, i referendum cui questi non partecipa e per i quali non può quindi essere considerato come votante.
Possono votare per i referendum dell’8 e 9 giugno anche coloro che si trovano fuori dal Comune di residenza, purché abbiano presentato la domanda entro il 5 maggio. Voto aperto anche agli italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) e a quelli che si trovano temporaneamente fuori dall’Italia per motivi di lavoro, studio e cure mediche, a patto che abbiano fatto la richiesta entro il 7 maggio.
Dei cinque referendum al vaglio degli italiani l’8 e il 9 giugno quattro vertono sul lavoro, uno sulla cittadinanza. I quesiti sono riportati ognuno su una scheda di colore differente e si votano singolarmente. Per ciascun quesito si riceve una scheda elettorale, il quorum verrà calcolato separatamente: significa che alcuni quesiti potrebbero raggiungere il quorum, altri no.
Le schede saranno di colore diverso per ciascun referendum
LAVORO:
1 – Licenziamenti illegittimi. “Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?”.
In sostanza si chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti prevista dal contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act. Spuntando il Sì, sarebbero eliminate alcune disposizioni che consentono al datore di lavoro, se si tratta di un’azienda con oltre 15 dipendenti, di riconoscere a chi viene licenziato in modo ingiustificato solo una compensazione economica e non il reintegro nel posto di lavoro.
Attualmente gli assunti dopo il 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 dipendenti non devono essere reintegrati dopo un licenziamento illegittimo, anche se il giudice stabilisce che l’interruzione del rapporto di lavoro era stata ingiusta o infondata. È invece previsto un indennizzo economico tra le 6 e le 36 mensilità di stipendio. Se la norma attuale venisse abrogata con la vittoria dei Sì, si tornerebbe all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori modificato dalla legge Fornero del 2012. Semplificando: in alcuni casi tornerebbe possibile il reintegro della persona nel posto di lavoro (in aggiunta al risarcimento economico).
2 – Limite d’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese
Il secondo quesito che riguarda il lavoro punta all’eliminazione del limite d’indennità per i lavoratori ingiustificatamente licenziati nelle piccole aziende. Attualmente, in caso di licenziamento illegittimo, l’indennità ricevuta è pari massimo a sei mesi di stipendio. L’obiettivo dei proponenti è aumentare le tutele per chi lavora in aziende con meno di 15 dipendenti. La riforma abrogherebbe il limite delle sei mensilità e affiderebbe ad un giudice il compito di decidere l’indennità da corrispondere al lavoratore, sulla base di una serie di criteri: gravità della violazione, età, carichi di famiglia e capacità economica dell’azienda.
3 – Contratti di lavoro a termine
Il terzo quesito chiede di abrogare alcune parole dell’articolo 19 del d.lgs. 81 del 15 giugno 2015 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni), uno dei decreti attuativi del Jobs Act, modificato più volte. La proposta è di eliminare le norme che permettono di stipulare contratti a termine senza una causale. L’obiettivo è favorire la stabilità occupazionale rendendo sempre obbligatorio giustificare la necessità di un contratto precario invece di uno a tempo indeterminato. In pratica occorrerebbe spiegarne i motivi: per esempio la stagionalità, un progetto specifico o un fabbisogno temporaneo.
Oggi i contratti a termine possono essere stipulati fino a 12 mesi: è il datore di lavoro che sceglie e la sua scelta è insindacabile, ossia non ha bisogno di fornire alcuna motivazione. L’obiettivo dei proponenti del referendum è limitare il ricorso a questo tipo di contratti reintroducendo l’obbligo di indicare una causale per la scelta della tipologia a termine anziché a tempo indeterminato.
4 – Appalti e sicurezza sul lavoro
Responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni. Il quarto quesito punta all’aumento della responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni sul lavoro o malattie professionali attraverso l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008 e sue successive modifiche. L’oggetto è la responsabilità solidale nei contratti di appalto: si punta a fare sì che il committente sia responsabile in solido in caso di infortunio subìto dai dipendenti delle imprese appaltatrici e subappaltatrici, anche per i danni legati a rischi specifici propri delle loro attività.
Attualmente la norma prevede che il datore di lavoro committente, in caso di infortunio, sia responsabile in solido con l’appaltatore e i subappaltatori per i danni subiti da lavoratori senza copertura assicurativa. La stessa legge tuttavia esclude questa responsabilità nel caso in cui i danni siano causati da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore. Eliminando quest’ultima clausola, la responsabilità verrebbe estesa all’imprenditore committente.
QUESITO CITTADINANZA ITALIANA
È uno dei temi più dibattuti e divisivi e riguarda la concessione della cittadinanza italiana.
Il quesito: “Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole ‘adottato da cittadino italiano” e ‘successivamente alla adozione’; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: ‘f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.’, della legge 5 febbraio 1992, n.91, recante nuove norme sulla cittadinanza’?”.
Votando Sì si chiede di abolire i dieci anni di residenza necessari per richiedere la cittadinanza e tornare al requisito precedente (cinque). Attualmente infatti servono 10 anni per chi ha la nazionalità di Paesi extra Ue, quattro per i Paesi Ue e cinque l’apolide.
L’ottenimento della cittadinanza italiana, in caso di vittoria dei Sì, continuerebbe a essere subordinato ai seguenti criteri: conoscere la lingua italiana, dimostrare di avere avuto redditi sufficienti al sostentamento per almeno tre anni, assenza di precedenti penali, non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.
Se dovesse passare l’abrogazione, a beneficiarne sarebbero anche i figli minorenni di chi ottiene la cittadinanza, se conviventi.
Attualmente il nostro ordinamento si basa sul cosiddetto ius sanguinis: si ha la cittadinanza italiana se uno dei genitori è italiano o se si viene adottati. Se si nasce in Italia da cittadini stranieri, si può chiedere la cittadinanza al compimento del 18esimo anno d’età se si è risieduto ininterrottamente nel Paese. È possibile diventare cittadini italiani anche per matrimonio o per residenza continuativa.
La legge prevede un’attesa massima di 36 mesi dopo la presentazione della domanda. In pratica, con i requisiti in regola e maturati gli anni necessari, occorre comunque attendere minimo tre anni per l’ottenimento della cittadinanza. Dal 2018, con il cosiddetto decreto Salvini, è necessario anche (per chi fa domanda in seguito alla residenza o al matrimonio) dimostrare una conoscenza dell’italiano di livello B1, salvo eccezioni per alcune categorie (apolidi e rifugiati).
Il quesito oggetto del referendum non modifica i requisiti già citati per ottenere la cittadinanza italiana: conoscere la nostra lingua, avere un reddito stabile, non avere commesso reati, rispettare gli obblighi tributari, assenza di cause ostative collegate alla sicurezza del Paese.
I promotori del referendum ricordano che oggi, per le lungaggini burocratiche, gli anni necessari per ottenere la cittadinanza possono arrivare anche a 13. La stessa cosa, cioè la possibilità che i tempi si allunghino anche di tre anni, accadrebbe se il termine venisse ridotto a cinque.
Come si ottiene la cittadinanza in alcuni altri Stati europei:
In Francia vige uno ius soli temperato, ovvero un bambino nato sul territorio può acquisire la cittadinanza se rispetta una serie di requisiti (tra cui la residenza di almeno 5 anni). In ogni caso, si accede al passaporto dopo cinque anni di residenza che diventano due in caso di studi nel Paese.
Situazione analoga in Germania: cinque gli anni di residenza necessari (ridotti a tre in presenza di integrazione particolare).
In Spagna ne occorrono dieci, ma scendono a due per cittadini di Paesi latinoamericani, Filippine, Andorra e Guinea Equatoriale. Tuttavia i figli di genitori stranieri, dopo un anno di residenza continuativa, possono diventare cittadini spagnoli se madre e padre fanno richiesta formale e se soddisfano determinati requisiti.
In Portogallo si accede alla cittadinanza con cinque anni di residenza nel Paese.
COME SI ESPRIME LA POLITICA IN PROPOSITO
Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si sono schierati per l’astensione rispetto ai 5 referendum. Diversa la posizione di Noi Moderati di Maurizio Lupi che ha annunciato di votare No su tutti i quesiti.
Sul fronte dell’opposizione Alleanza Verdi Sinistra è per il Sì a tutti e cinque i quesiti. Il Pd ha una linea ufficiale a favore del Sì su tutti i referendum, ma alcuni dem hanno annunciato che voteranno Sì solo ai quesiti sulla cittadinanza e sulla sicurezza sul lavoro, e No agli altri tre che coinvolgono, in parte, il Jobs Act.
Il Movimento 5 Stelle ha invitato i suoi elettori a votare Sì sui quattro referendum sul lavoro, lasciando libertà di voto su quello relativo alla cittadinanza (su cui il presidente Giuseppe Conte ha dichiarato comunque che voterà Sì). Azione ha annunciato che voterà Sì sul quesito sulla cittadinanza e No su quelli relativi al lavoro.
Per quanto riguarda Italia Viva, Matteo Renzi ha invitato i suoi elettori a votare Sì al quesito sulla cittadinanza, No al quesito sui licenziamenti e i contratti a tutele crescenti sui licenziamenti e a quello sulla reintroduzione delle causali nei contratti a tempo determinato (ricordiamo che il Jobs Act è creatura di Matteo Renzi). Libertà di voto invece sugli altri due quesiti: responsabilità in caso di incidenti sul lavoro e licenziamenti e risarcimenti nelle piccole imprese.
+Europa è a favore di due Sì (cittadinanza e sicurezza sul lavoro) – ed è per il No sugli altri tre quesiti.
DETTAGLIO SU PARTITI E CITTADINANZA
Sono per il Sì al quesito sulla cittadinanza tutte le opposizioni, anche se con qualche distinguo. Riccardo Magi, segretario di +Europa, è stato uno dei promotori e guida lo schieramento dei politici a favore. Tra questi anche il Partito democratico, Avs, Azione, Italia viva, Possibile, Partito Socialista Italiano, Radicali, Rifondazione Comunista.
Il Movimento 5 Stelle, che preferirebbe lo ius scholae, lascia libertà di voto, anche se il leader Giuseppe Conte ha dichiarato che voterà Sì. Secondo i 5 Stelle sono la formazione e la scuola a consentire un percorso di integrazione culturale, mentre la questione del dimezzamento da 10 a 5 anni rischia di affossare una battaglia giusta.
La maggioranza composta da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia invece è fermamente contraria e ha già invitato pubblicamente all’astensione, non senza polemiche.
Infine la posizione della Caritas. L’istituzione religiosa e assistenziale “incoraggia ad approfondirne i temi – il lavoro e la cittadinanza – e a guardare al voto informato come a un’espressione di partecipazione e corresponsabilità”. La posizione è all’opposto di quella espressa della maggioranza di Governo.
La Caritas rivolge particolare attenzione al quesito sulla cittadinanza:
“L’ottenimento della cittadinanza in tempi congrui – si legge nell’appello della Caritas – da parte di donne e uomini che contribuiscono con il loro lavoro al benessere dell’intera collettività, corrisponde al riconoscimento della dignità delle persone che, nell’ottica del bene comune, ovvero del bene di tutti e di ciascuno, sono da accogliere, proteggere, promuovere e integrare”.
È un invito non solo a partecipare al voto, ma anche a raccogliere l’appello della Conferenza episcopale italiana per “integrare, nella pienezza dei loro diritti, coloro che condividono i medesimi doveri e valori”.