L’Aquila, ricostruzione. Fillea Cgil: “Troppi restauratori non regolari”

Restauratori come fantasmi, nascosti dietro a contratti non regolari, che nulla hanno a che fare con il restauro. All’Aquila, quinto centro storico d’Italia, dove è in corso una grandissima opera di ricostruzione, di recupero e di restauro c’è un esercito di lavoratori che resta nell’ombra.

Nell’ombra della regolarità contrattuale, che non corrisponde quasi mai alla competenza, alla professionalità, alla preparazione.

Dalle mura urbiche agli scavi archeologici, dalla basilica di Collemaggio al Teatro San Filippo Neri, fino alla chiesa delle Anime Sante e alle decine di palazzi privati – ad esempio lungo il Corso – che hanno riportato alla luce affreschi e bassorilievi nascosti per secoli e riemersi grazie dopo il sisma. Restauri i cui protagonisti – in molti casi – vengono inquadrati come operai o addetti alle pulizie anziché con un contratto dell’edilizia, che garantisce l’inquadramento previsto dal contratto come operai specializzati che vanno dal quarto livello in su.

Certo, non si può generalizzare. Nemmeno è possibile citare caso per caso, parlare di ditte; i restauratori stessi hanno paura di denunciare – persino ai sindacati – per timore di perdere il posto di lavoro. Ne abbiamo parlato con Cristina Santella della Fillea Cgil, che spiega quanto grigio sia il lavoro dei restauratori del più grande cantiere d’Italia. Basterebbe fare un giro nel centro storico dell’Aquila per capire: cantieri di ditte che per risparmiare qualche migliaio di euro a fronte di progetti dal peso di milioni di euro, non hanno esitato a far stipulare ai restauratori contratti del turismo, delle pulizie, con buona pace dei tanti anni di studio e di esperienza.

Una settimana fa la manifestazione a Roma, davanti alla sede del Mibact, per chiedere l’atteso elenco nazionale, il riconoscimento di una qualifica che non arriva da 13 anni. Alla protesta nazionale hanno aderito anche decine di restauratori abruzzesi.

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