Grazia a Bearzi, il Quirinale: “Da sentire anche le parti offese”

Sotto le macerie del Convitto nazionale nella notte del 6 aprile 2009, morirono tre minorenni.

Luigi Cellini di Trasacco, Ondrey Nuozovsky e Marta Zelena, della Repubblica Ceca e rimasero feriti Mirko Colangelo e Luigi Cardarelli: per quelle morti è stato condannato il preside Livio Bearzi.

Dopo la condanna a quattro anni inflitta in via definitiva per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, l’ex preside è stato rinchiuso nel carcere di Udine, da dove è uscito dopo poco più di un mese per essere affidato in prova ai servizi sociali.

Da mesi si chiede la grazia per l’ex preside del Convitto: primo passo, quello della moglie di Bearzi, che ha presentato la domanda il 14 dicembre scorso. Da quel momento alla richiesta della donna si sonno accodati esponenti politici abruzzesi – tra cui il presidente della Regione Luciano D’Alfonso – e friulani (in testa la presidente Debora Serracchiani) e i docenti colleghi del preside, ritenuto il capro espiatorio della tragedia del crollo del Convitto.

Proprio in queste ore il presidente D’Alfonso ha ricevuto una lettera dal consigliere del presidente della Repubblica per gli Affari dell’amministrazione della giustizia, Ernesto Lupo, in risposta all’istanza di grazia.

“E’ in corso l’istruttoria di competenza del ministero della Giustizia – si legge nella nota – . In tale fase devono essere acquisiti i pareri del procuratore generale e del magistrato di sorveglianza e, riguardando la condanna reati contro la persona, secondo la prassi vanno anche interpellate le persone offese (feriti e parenti dei deceduti)”.

“Il capo dello Stato può adottare le sue determinazioni sulla domanda di grazia a seguito della conclusione della fase istruttoria e dopo che il ministro della Giustizia ha formulato il proprio avviso in merito alla sussistenza o meno dei presupposti per un atto di clemenza”, ricorda il consigliere del Quirinale.

Contrarietà alla grazia, è stata sempre espressa dalla mamma di Luigi Cellini, Lucia Catarinacci, che ha più volte ricordato le responsabilità delle istituzioni locali nella morte del figlio.

“Quale grazia? – aveva chiesto la donna – mio figlio si sarebbe potuto salvare”.

Nelle motivazioni della condanna di Bearzi, tra le altre cose, si legge che lui e l’altro condannato, Vincenzo Mazzotta, allora dirigente della Provincia,:

«Sono rimasti inerti di fronte alla gravità dello sciame sismico che colpiva L’Aquila già da mesi, e che era particolarmente insistente la notte del crollo del Convitto, mentre i due imputati, entrambi con posizione di garanzia, avrebbero dovuto dichiarare da tempo l’inagibilità della scuola, la cui instabilità era nota. O, almeno quella notte, organizzare l’evacuazione degli studenti».

Il servizio del Tg8:

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Marianna Gianforte: