Agressione omofoba a Pescara: la nota di Mede@ Onlus

Prosegue il dibattito a seguito dell’increscioso episodio di aggressione ad un ragazzo gay a Pescara. Sull’argomento si registra la nota di “Mede@ Onlus”.

Il responsabile del Dipartimento Enti Nazionali con delega agli sportelli istituzionali di “Mede@” Onlus Francesco Longobardi, da anni impegnato nell’attività di sostegno e promozione di iniziative per prevenire e studiare il disagio giovanile, interviene, con una lunga nota, nell’animato dibattito a seguito dell’aggressione avvenuta giorni fa a Pescara nei confronti di un ragazzo gay:

Malessere è una parola dal duplice significato: piccola indisposizione, ma anche inquietudine generale. Può colpire individui singoli o gruppi di persone legate da caratteristiche omogenee,
come nel caso del malessere giovanile. Un certo malessere è normale in ogni età di passaggio, perché il raggiungimento di un nuovo equilibrio comporta fatica e adattamento. Ma se perdura troppo indica una difficoltà a crescere. Nel caso dei ragazzi alla soglia dell’età adulta il fenomeno dipende in gran parte da risposte sbagliate della società alle esigenze dell’infanzia e dell’adolescenza. Ne consegue una personalità a volte insicura e suggestionabile, bisognosa di appigli fusionali, pervasa da un senso di disperazione pronto a riacutizzarsi dopo eventi negativi. Si parla di malessere perché le conseguenze sono concrete e visibili. Un indice di tale fenomeno è l’aumento della depressione in età giovanile, che si esprime in modi quasi sempre mascherati, che possono trarre in inganno. Il malessere nei giovani è spesso più evidente che nel resto della popolazione, data la baldanza dell’età e la forte carica di energia vitale. A differenza di quanto accade per gli adulti, non si esprime tanto in calo dell’umore o di energia fisica, quanto piuttosto in comportamenti negativi che denotano una cattiva relazione con se stessi o con gli altri. Gli elementi più recenti che invitano a riflettere sulla condizione sociale dei giovani arrivano dagli episodi sconcertanti accaduti negli anni scorsi in diverse parti d’Italia ma, soprattutto, dai numeri allarmanti e in costante crescita delle emergenze psichiatriche fra gli adolescenti. Ne cito solo qualcuno. A Monterotondo una studentessa si è tolta la vita impiccandosi nel bagno della scuola, in provincia di Lecce un ragazzo si è quasi ferito a morte sparandosi all’addome perché il suo papà gli aveva negato la Playstation e, infine, un minorenne è stato arrestato per aver ha ucciso il padre a coltellate davanti alla madre e agli altri tre fratelli. Il ragazzo può far del male a se stesso, esprimendo malumore, idee suicidarie, dipendenza da sostanze, autodistruzione, svalutazione di sé, blocco delle iniziative. (Molte patologie hanno questa origine, come i disturbi alimentari, che imprigionano le “fami” naturali e ricercano appagamenti fittizi autogestiti; o anche l’ immersione in mondi immaginati e ossessivi, dove il giovane si chiude in opposizione al modello degli adulti considerati estranei e colpevoli). Altre volte è portato a fare del male agli altri con aggressività gratuita, violenza, estremismo,
bullismo, vandalismi ecc. Spesso sceglie come oggetto di sopruso il più debole, per affermarsi facilmente o perché identifica in esso la propria parte fragile disprezzata. In ogni caso esiste una carica aggressiva che viene rivolta contro se stesso o contro l’ambiente. La forza distruttiva è sempre legata a tensioni accumulate in modo estremo, compresse e misconosciute, unite ad un senso di impotenza e alla perdita di speranza. Difficile rispondere, se il malessere giovanile è un fatto modero. Un tempo i giovani erano molto esposti alle malattie endemiche ormai quasi del tutto debellate. Pertanto il malessere fisico era per loro più importante del malessere psicologico. Oggi sono esposti ad altri mali più sottili e non meno pericolosi: i disagi di identità, di appartenenza e di affermazione di sé. Tali mali poggiano su una situazione sociale che possiamo chiamare di appiattimento. In un mondo complicato e violento le possibilità di emergere si riducono per tutti. Le risorse economiche si concentrano e la gente ha sempre meno autonomia, dipendendo dai “potenti” che detengono il denaro ma soprattutto il controllo. I giovani per loro natura devono poter guardare al futuro. E devono essere consapevoli dei mezzi in loro possesso per costruirlo. Il potere di agire, di scegliere, di fare, di pensare, di inventare, di combattere le ingiustizie fa parte dello sviluppo; se viene ridotto e imbavagliato, in modo evidente o strisciante, mistificato dalle regole, addolcito da surrogati, spento dal pessimismo, la crescita rallenta. Viene detto ai giovani di diventare grandi, ma contemporaneamente glielo si vieta. Si toglie loro capacità contrattuale nella famiglia, nella scuola e nei contesti lavorativi . In questo senso il malessere giovanile si può
considerare un male moderno perché i giovani, come i bambini, rappresentano una minoranza defraudata. I bambini si sentono in credito e si comportano come se tutto fosse loro dovuto. Abbiamo cambiato la società: oggi se i genitori non lavorano entrambi, non ce la fanno a campare. C’è un cambio della filosofia della famiglia che ha effetti sui bambini: una volta, per esempio,
tornavano alle 13 a casa, ora alle cinque. Sono spinti a essere più autonomi quando ancora non lo sono. Prima si diceva loro “ormai sei grande”, ma lo si faceva a sedici anni, oggi a cinque, sei, quando si è ancora immaturi. Insomma, tutto questo è il risultato dei ritmi frenetici della famiglia che non ha più la possibilità di gestirsi nei ritmi e nei modi. Gli adulti hanno la responsabilità di accompagnare i ragazzi nel migliore dei modi. Lo devono fare tenendo conto delle esigenze tipiche di ogni età. Solo soddisfacendo il bisogno prioritario di quella età il bambino potrà passare al bisogno successivo. Nell’età 1-5 anni il bisogno prioritario è essere accuditi. Ogni trascuratezza fisica o psicologica in questa età, specie se accompagnata da maltrattamenti, può dare gravi conseguenze. Gli infanti sperimentano il futuro attraverso la sicurezza. Nell’età 6-10 anni il bisogno principale è divertirsi sviluppando il proprio corpo. Tutte le attività ne devono tenere conto, senza soverchiare di regole e limitazioni l’ esplorazione spontanea. I bambini colgono il futuro nella gioia. Nell’età 11-16 anni il ragazzo ha bisogno soprattutto di appartenere ad un gruppo. Il confronto e l’amicizia con i pari è fondamentale per sentirsi accolto. Il riconoscimento dentro il gruppo genera un duraturo senso di sicurezza e diventa tappa intermedia tra la famiglia e la società. Gli adolescenti accettano il futuro attraverso la condivisione. Nell’età 17-20 anni il ragazzo impara a definire e difendere la propria identità, e il bisogno principale è di potersi confrontare nel rispetto, per sentirsi uguale agli altri ma unico, e di costruire un domani affidabile. Il giovane adulto possiede il futuro attraverso progetti a sua portata. Ogniqualvolta queste tappe non avvengono con serenità, ma anzi sono accompagnate da traumi o solitudini, il ragazzo accumula malessere, perché perde il futuro, metro del tempo. Se incontra persone positive e ha buona forza interiore riesce a trasformare il malessere in risorse nuove e si rafforza. Se invece questo non avviene, il ragazzo può accumulare dolore fino a manifestarlo apertamente in atti negativi. Le cause del malessere sono molteplici una di queste è sicuramente sono i messaggi negativi che provengono dalla musica e dai video musicali messaggi molto negativi che inneggiano alla trasgressione e alla violenza. Da anni i media danno notizia dei rapporti tra satanismo, esoterismo e musica moderna. Tanti dischi spingono alla violenza, al suicidio, alla droga, all’adorazione del diavolo. Molti gruppi rock degli anni ’80 che ancora oggi vengono riascoltati dai giovanissimi inneggiano al satanismo e alla violenza. Ancora oggi molti artisti italiani nei loro testi descrivono scenari agghiaccianti. Tenga presente che l’idea di una musica che può spingere alla pratica del satanismo fino a qualche tempo fa era considerata una semplice ipotesi, ma alcuni fatti di cronaca accaduti proprio in Italia hanno dimostrato che i messaggi lanciati da alcuni cantanti possono avere effetti devastanti, soprattutto quando vengono ricevuti da ragazzi psicologicamente fragili e influenzabili. Fra tutte ne voglio sottolineare una, che mi sembra importante. Essa ha a che fare col tempo. Dice Binswanger, psichiatra esistenzialista: “Se l’ascesa non può giungere a un fine, si rovescia nello smarrimento e nella fissazione”. Cioè se l’alpinista smarrisce la strada, resta a mezza parete e non ha via di scampo. Ognuno di noi vive a suo modo il tempo. Quando dentro la coscienza ci proiettiamo in un futuro possibile, il passato serve da base e il presente è godibile. Se invece il futuro non esiste, tendiamo a chiuderci fino all’autismo e il presente diventa una successione insensata di istanti vuoti. Questo è il problema: stiamo allontanando i giovani dal futuro. Lo facciamo consapevolmente quando legiferiamo la loro estrema precarietà lavorativa o
una severità scolastica senza antidoti, o una dipendenza economica, ipocritamente criticata. Lo facciamo inconsapevolmente quando spegniamo la gioia, i sogni, le utopie, che del futuro sono linfa. Togliendo ai giovani il futuro li releghiamo a oggetti consumistici o a contenitori di nozioni . Questo avviene principalmente a partire dal mondo della scuola, primo cerchio di società dopo la famiglia, che ha perso il ruolo di educatrice per tutti ed è diventata elite per alcuni, attenta solo a sanzionare ed espellere (in modo spesso violento psicologicamente) gli altri, che hanno il difetto di essere “inadatti” per il successo scolastico, quasi sempre unico gretto metro di misura del valore. Non so, se il malessere potrebbe diventare una risorsa. Spesso mass media son portati ad enfatizzare i comportamenti negativi dei giovani più che ad analizzarne il senso. Spesso tali comportamenti mascherano appunto un dolore autentico. Di non essere valorizzati. Di non sentirsi protetti. Di non potersi fidare. Di non essere ascoltati. Di non essere felici. Tale dolore può inizialmente esprimersi in disturbi fisici, svogliatezza, apatia e malumore, poi non trovando riscontri, può incattivirsi trasformandosi in rabbia e comportamenti impulsivi. Il disagio è pericoloso se si collega a: disistima, chiusura sociale, sensazione di “essere sbagliati e diversi”, pessimismo verso la risoluzione dei problemi, impotenza. In questo caso può spingere verso vie di fuga, tipo antisocialità o patologie, che a loro volta allontanano dal contesto. Un uso eccessivo dei videogame può predisporre i nostri ragazzi a sviluppare una serie di patologie fisiche, dalla semplice stanchezza all’obesità fino alle crisi epilettiche nei soggetti predisposti (il cosiddetto fenomeno dell’epilessia da videogioco). E’ stato inoltre dimostrato che i giovani che utilizzano più frequentemente i videogiochi sono giudicati più egoisti dai propri compagni e meno disponibili all’aiuto. I videogiochi creano una dipendenza inserita tra le new addictions: il soggetto non fa uso di sostanze, ma impiega un comportamento generalmente lecito per soddisfare bisogni che non riesce altrimenti ad appagare. Oggi le famiglie non sembrano capaci di dire no, spesso i genitori non sanno creare delle norme fondamentali per un sano sviluppo dei loro figli. Ma se l’aggressività non viene sublimata e dirottata verso forme alternative tende a trasformarsi in violenza bruta e dà luogo a fenomeni come il bullismo. Gli adulti dovrebbero essere in grado di supervisionare le attività ludiche deiloro figli facendogli usare i videogiochi o ascoltare la musica con senso critico, aiutandoli ad evidenziarne i lati positivi e mettendoli in guardia dalle conseguenze dannose. Se invece il malessere viene considerato per quello che è, un sintomo spia, come la febbre che segnala la malattia sottostante, allora diventa utilissimo perché fa “vedere” quello che altrimenti non si percepirebbe Il malessere è una finestra. Indica alla società che alcune scelte sono sbagliate o mancanti. I dati sulla somministrazione di alcol, droghe e sesso sono allarmanti La fascia dell’assunzione di alcol e droghe ieri 16 anni, oggi il livello è sceso a 11 anni. La sessualità dei ragazzi è molto promiscua e non protetta. A volte inizia a 11-12 anni. Oggi le famiglie non sembrano capaci di dire no, spesso i genitori non sanno creare delle norme fondamentali per un sano sviluppo dei loro figli. Ma se l’aggressività non viene sublimata e dirottata verso forme alternative tende a trasformarsi in violenza bruta e dà luogo a fenomeni come il bullismo. Gli adulti dovrebbero essere in grado di supervisionare le attività ludiche dei loro figli facendogli usare i videogiochi o ascoltare la musica con senso critico, aiutandoli ad evidenziarne i lati positivi e mettendoli in guardia dalle conseguenze dannose. Mede@Onlus ha organizzato nelle scuole parecchi progetti sull’educazione alla legalità, i diritti dell’infanzia e l’adolescenza, Empatia, lo sport come strumento di integrazione sociale, accendi la musica e spegni la violenza, una canzone contro il BULLISMO, cantata da due ragazzi vittime di vessazioni durante l’adolescenza Antonio Tagliafierro e Massimiliano Ciurlino ( autistico), insieme alle forze dell’ordine, legge sul bullismo, cyberbullismo, stalking. Innanzitutto presentiamo i dati sui reati ai danni dei più deboli, ma soprattutto parliamo con loro. Io chiedo sempre di fare un piccolo tema sull’argomento, cerco di spiegare attraverso il linguaggio metaforico delle fiabe fenomeni come il bullismo, la prostituzione minorile e poi i reati di Stalking, femminicidio e abuso sui minori mettendo in luce le conseguenze che questi comportamenti hanno sulle vittime. Attraverso le immagini spiego anche ai ragazzi gli effetti di ogni droga. Insieme alle forze dell’ordine parliamo poi dei loro interventi e del ruolo dei giudici. I ragazzi sono cresciuti tanto con questi incontri. Ci rivolgiamo ai ragazzi di prima e seconda media e terza media ma anche ai bambini delle elementari e superiori. Parliamo anche molto con i genitori di prevenzione e sostegno. Per concludere: bullismo e sopraffazione non sono una prerogativa dei giovani, ma esistono anche nei posti di lavoro. Certo, ma dopo i vent’anni il meccanismo cambia. Il bullismo esiste anche nel mondo del lavoro, viene chiamato bossing. E’ esercitato dal datore di lavoro verso i dipendenti, oppure a livello orizzontale tra gli stessi dipendenti. E’ un meccanismo che porta la vittima ad autodistruggersi: non mangia, perde i capelli arrivando a strapparseli, abusa di farmaci, vomita. Nelle donne lo stress arriva a modificare persino il ciclo mestruale. Ma come abbiamo visto tutti questi meccanismi hanno origini molto precedenti e il modo di combatterli è soprattutto la prevenzione. I rimedi dipendono soprattutto dal tipo di modalità distruttiva scelta dalle persone che
manifestano un malessere. Se la modalità è auto centrata, significa che il ragazzo ha rivolto contro se stesso tutta la carica di tensione accumulata, fino a sentirsi lui colpevole ed indegno. Gli occorre in questo caso il permesso di restituire all’esterno le responsabilità non sue, raccontarsi a persone di fiducia e sviluppare il senso critico. Deve in altre parole trovare amici fidati per difendere il confine di sé. Se la modalità è etero centrata, significa che il ragazzo ha preferito rivolgere contro gli altri la carica di tensione derivata anche dai propri errori, fino a sentire tutto il mondo ostile. Gli occorre in questo caso imparare a riprendersi le responsabilità, accettando di abbandonare il facile narcisismo e l’onnipotenza, e saper trovare carezze e soddisfazioni facendo l’adulto. Deve in altre parole trovare figure genitoriali autorevoli per definire il confine di sé. In ogni caso occorre avere coraggio per modificare qualcosa della quotidianità, dove si trova sempre una spina irritativa del disagio. Infime mi permetto di dare alcuni consigli

• Non spaventiamoci dei segnali di malessere, anche se nel giovane sono tristi e innaturali:
segnalano un intoppo nella crescita, che richiede attenzione e comprensione.

• Ogni ragazzo ha il suo malessere, legato ad una storia e sensibilità uniche, per cui i
consigli generici portano quasi sempre fuori strada, mentre la conoscenza e l’empatia facilitano
le soluzioni.

• Non cerchiamo di reprimere le emozioni che riteniamo spiacevoli, siano esse rabbia,
tristezza, paura o vergogna, ma prima mettiamo parole che le traducano.

• Per gestire una grande difficoltà occorre forza, e la possiamo trovare solo accettando
tutti gli aiuti possibili.

• Se i comportamenti sembrano un fiume in piena, meglio attraversare il fiume insieme
che lasciare l’altro solo: ci perderemmo entrambi.

• Costruiamo immagini positive per inventare il cambiamento.

• Trasmettiamo sempre e in ogni forma ai ragazzi la fantasia, che è il miglior antidoto della
violenza.

• Pensiamo prima all’essere che al fare perché solo piantando le radici l’albero darà buoni
frutti.

• Cogliamo i primi segnali di dolore, per non aggravarlo con violenze aggiuntive.

• Il vero genitore sa aspettare e contenere, forte dell’amore reciproco anche se inespresso,
e convinto delle doti del giovane anche se momentaneamente sopite.