Pescara: vita da clochard: “Esistiamo non solo a Natale”

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Vita da clochard, a Pescara sono sempre più gli “insospettabili” costretti a dormire per strada e a chiedere un pasto caldo alle mense della solidarietà. “Esistiamo – gridano alla città – non solo a Natale”.

I dati della Caritas e delle altre strutture di accoglienza e di assistenza, e quelli dell’Istat, parlano chiaro: sono sempre di più gli Italiani, gli insospettabili della porta accanto, che si rivolgono alle mense cittadine della solidarietà e ad altre strutture perché non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Anzi, per la verità, nemmeno a una parte del mese. Così e a Pescara e nella sua area metropolitana. Sempre l’Istat dice, numeri alla mano, che un terzo degli Abruzzesi è a rischio povertà. Poi c’è la povertà estrema, fatta spesso di emarginazione che coinvolge sempre più persone. Le incontri alla stazione ferroviaria, ma anche nel centro cittadino: nelle zone vicine a piazza Salotto (nella foto sopra di Gianluca Bianchi), la mattina puoi imbatterti in veri e propri giacigli di fortuna, tra cartoni, qualche coperta, avanzi di cibo e tanta disperazione.

“Esistiamo non solo a Natale”, dice uno dei clochard o dei senza fissa dimora, difficile dare una etichetta a chi per scelta ma sempre più spesso per disperazione si ritrova a dormire per strada, ad affrontare lo sguardo della gente che a volte non comprende, o ancor peggio, dicono, la pena e il disprezzo da parte di chi quella vita non la vive e non la può capire. A Natale e durante le festività, si cerca di dare maggiore attenzione a questi (non) cittadini perché sono apolidi, vagano, dormono qua e là. Li ritrovi nelle mense della Caritas e in quella di San Francesco a Pescara, oppure nei locali dell’associazione On the Road, proprio dietro la stazione ferroviaria che è diventata la loro casa. Sono soprattutto i volontari a offrire quotidianamente il loro tempo, la loro comprensione, una parola, un sorriso, al di là del pasto caldo o di un tetto, seppur momentaneo, sulla testa. Chiedono proprio questo i senza fissa dimora, i barboni, i clochard, si usa spesso un termine straniero quasi per addolcire una pillola che è invece amara per queste persone.

“Non vogliamo compassione, ma nemmeno il disprezzo della gente – dice uno degli “inquilini” della strada – chiediamo comprensione, perché non siamo bestie. Io avevo una casa, una famiglia, poi tutto è cambiato, la separazione, la perdita del lavoro. Così la disperazione mi ha portato a vagare di città in città alla ricerca di uno posto che fosse disposto ad accogliermi.”

C’è un altro clochard reduce da una storia di prigione per piccoli reati, qualche furto, ma ora dice: “E’ difficile ricominciare, perché la società non ci vuole più. Non abbiamo una seconda possibilità, nessuno ci offre un lavoro, qualsiasi lavoro. Così ci ritroviamo sui marciapiedi e quando ci va bene, nelle stazioni, sotto i portici. Fin quando non ci cacciano.”

Ci sono anche le donne, alcune di loro anziane, altre straniere. Raccontano di vite da film, vissute vorticosamente, costrette sui marciapiedi, sfuggite ai loro aguzzini. O semplicemente rimaste sole, troppo sole, tanto da sentirsi parte di una comunità solo per strada tra chi, come loro, sulla strada vive.

Certo, c’è anche chi quella vita da vagabondo l’ha scelta: ma sono in pochi. Un musicista, noto nel suo Paese, ha scelto di suonare il suo violino per strada. “Perché – dice – la musica deve essere di tutti e a portata di tutti. Vivo con quello che racimolo e che i passanti mi offrono, appagati dalla mia musica. Ed anche io – conclude – sono appagato così.”

E’ l’altro volto della città. Un mosaico composito, Pescara, che si mette in vetrina sotto le luci del Natale e che nasconde gli invisibili, che permette a tutti di viverci ma che non si chiede come, che non ti chiede la chi sei ma non le interessa che fai. Una città cresciuta in fretta che ha dimenticato le ferite della guerra, dalle macerie alla ricostruzione, che l’ha resa moderna e che corre veloce, troppo, per chi il fiato lo ha corto a causa dei lividi lasciati da una esistenza fatta di stenti e di solitudine. Una città che forse non ascolta chi la vive, perché troppo presa dalla frenesia del divenire, del sembrare più che dell’essere.

“Pescara è bella – racconta uno dei senza fissa dimora – e io da Milano mi sono trasferito qui, perché c’è il mare. Io amo il mare perché non fa distinzioni, accoglie tutti.”

Alcuni di loro hanno voglia di parlare, altri invece preferiscono ascoltare.

“Prima della indifferenza, ci ferisce il disprezzo che a volte vediamo sul volto della gente – confida un altro clochard – in fondo siamo tutti essere umani. Bisogna esserlo, umani davvero”.