“Abbiamo appreso che è stata realizzata una “Via Ferrata” sulla parete di Montebello di Bertona, storica e bella falesia di arrampicata sportiva di bassa quota. Ma cosa sono le “Vie Ferrate”?. A sollevare perplessità e chiedere lumi è l’associazione MOUNTAIN WILDERNESS Abruzzo
Così un comunicato che riceviamo e pubblichiamo. “Le vie ferrate sono percorsi di alta montagna dotati di attrezzatura come scalette, mancorrenti, cavi, al fine di facilitare, anche ai meno esperti, la scalata. La prima ferrata nacque nel 1843, nel Dachstein in Austria, proprio per consentire la “conquista” della vetta che fu realmente scalata da Friederich Simony che usufruì di maniglie, funi e pioli in ferro che precedentemente, aveva fissato alla parete da salire. Durante la Prima Guerra Mondiale, soprattutto in Dolomiti e nelle Alpi Giulie le “Ferrate” ebbero un crescita esponenziale al fine di portare le truppe in alto, sia da parte italiana, sia da parte austriaca”.
“La Ferrata a Montebello di Bertona si svolge a bassa quota, non porta a nessuna parte significativa, interseca alcune vie in roccia sottostanti. E’ un impatto fin troppo visibile su quell’ambiente. Perché farla? E’ a nostro parere una della tante banalizzazioni dell’esperienza in montagna. E’ come vedere un lupo in natura e un lupo in cattività. Non è la stessa cosa. Le ferrate storiche come abbiamo detto, sono diventate una sorta di patrimonio del nostro Gran Sasso e stanno bene così come stanno e vanno manutenute. Di nuove ferrate, fondamentalmente inutili, non ne vediamo la necessità. Sperando anche che in questa ferrata a Montebello, non si sia ripetuto l’errore pericoloso e grave, dei fittoni con gli occhielli di uscita (per un’ eventuale corda di sicurezza), rivolti verso il basso, come alle ferrate al Gran Sasso”.
E, ancora: “Chi è Mountain Wilderness?” E’ un’associazione internazionale con rappresentanze in diversi Paesi. Essa nasce con lo scopo di difendere e recuperare gli ultimi spazi incontaminati del Pianeta al fine di stimolare la crescita dei livelli di consapevolezza ambientale di strati sempre più ampi di frequentatori della montagna. In Italia ci sono ormai più di 400 ferrate dislocate per lo più nella catena alpina. Il Gran Sasso conta 6 ferrate di cui una non agibile.
Sono esse ferrate storiche, recentemente ammodernate ma che conservano un preciso ed inequivocabile interesse storico. Lo stesso Club Alpino Italiano (CAI) ha ribadito in diversi incontri e convegni la necessità di smantellare la maggior parte delle nuove vie ferrate sulle Alpi, al fine di riportare alla originaria natura la montagna. Anni fa Mountain Wilderness si è guadagnata il rispetto e la gratitudine del popolo e del governo del Pakistan per aver “liberato” il K2 da tonnellate di rifiuti e da 20 km di corde fisse, abbandonate lungo lo Sperone Abruzzi. Tra gli alpinisti c’era anche il nostro Giampiero Di Federico, socio a vita e tra i fondatori di Mountain Wilderness.
Riteniamo come Carlo Alberto Pinelli (il maìtre à penser dell’ambientalismo montano) che “Le vie ferrate sono divertenti, favoriscono un piacevole impiego delle proprie predisposizioni atletiche, permettono di fotografare i monti da una diversa prospettiva, vero. Ma dove va a finire la libertà di decidere il proprio itinerario, appiglio dopo appiglio, la capacità di imparare dai propri errori, l’ingegnosità di individuare vie d’uscita dalle difficoltà e dai pericoli? Le vie ferrate favoriscono atteggiamenti passivi, (tanto ci sono cavi e scalette a guidarci passo passo) non sono formative; non ci liberano dai condizionamenti urbani di cui siamo succubi e non contribuiscono a rivelarci aspetti creativi della nostra psiche che giacevano sul fondo, senza possibilità di emergere e di esprimersi. Restano solo un gioco epidermico. E’ evidente inoltre che la falsa sicurezza data da cavi metallici, dai cartelli di accesso più in generale da un ambiente addomesticato, è un invito più o meno esplicito agli escursionisti a sottovalutare il terreno cui si muovono e ad assumersi rischi superiori alle proprie capacità.”