Il camoscio d’Abruzzo simbolo del ruolo delle aree protette

Il camoscio, uno degli ungulati più belli del mondo, un secolo fa sul Gran sasso, a causa della caccia indiscriminata e dei bracconieri, si era estinto. Ma grazie all’opera dell’uomo, nei primi anni ’90 questo grazioso animale, è stato reintrodotto nel suo habitat.

Alcuni esemplari infatti sono stati trasportati con l’ausilio di elicotteri sulle vette del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. Oggi si contano più di mille esemplari solo sul Gran Sasso ed oltre 3.700 in tutto l’Appennino. E proprio per la Giornata mondiale della fauna selvatica, Legambiente tra gli otto simboli scelti per sottolineare il ruolo delle aree protette ha scelto anche il camoscio.

Otto simboli per rappresentare le oltre 240 specie animali e vegetali italiane che sono a rischio elevato di scomparire per sempre. In occasione della Giornata mondiale della fauna selvatica, Legambiente ha pubblicato un rapporto con le sue proposte per tutelare le specie selvatiche a rischio presenti nel Parco nazionale del Gran Paradiso e nel Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, le due aree protette più antiche della Paese e che festeggiano cento anni di storia. Oggi non è raro poterli vedere pascolare e saltare tra le rupi sulle cime più alte dell’Appennino. Recuperare le specie chiave per il ripristino dell’ecosistema: è il tema scelto per questa edizione del 2022 del World Wildlife Day (WWD), il più importante evento annuale mondiale dedicato alla fauna selvatica. La Giornata è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2013 per celebrare, ogni 3 marzo, la ricorrenza della firma della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES) avvenuta nel 1973 a Washington ed emendata a Bonn nel 1979. Secondo i dati della Lista rossa delle specie minacciate dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), oltre 8.400 specie di fauna e flora selvatiche sono in pericolo di estinzione, mentre quasi 30.000 in più sono ritenute in pericolo o vulnerabili e oltre un milione di specie siano minacciate di estinzione. La continua perdita di specie, habitat ed ecosistemi minaccia anche tutta la vita sulla Terra, noi compresi.

Legambiente ricorda inoltre che il nostro Paese è caratterizzato da un patrimonio di biodiversità tra i più significativi a livello europeo sia per numero totale di specie animali e vegetali, sia per l’elevata presenza di endemismi. L’Italia ospita infatti circa la metà delle specie vegetali e circa un terzo di tutte le specie animali attualmente presenti in Europa. Alcuni gruppi, come alcune famiglie di invertebrati, sono presenti in misura doppia o tripla, se non ancora maggiore, rispetto ad altri Paesi europei. Un livello di diversità che è anche il frutto dei molti tipi di habitat che caratterizzano il nostro Paese, composto da ambienti alpini, continentali e mediterranei, oltre a moltissime isole, particolarmente ricche di endemismi.

Alcune specie faunistiche molto carismatiche e di grande importanza per la loro funzione ecologica, ed in particolare i grandi carnivori sono fortemente minacciate mentre per altre le popolazioni sono oramai ridotte a pochissimi esemplari. Di fronte a questa situazione, i Parchi e le Riserve in molti casi hanno fornito azioni e attività importanti per evitarne l’estinzione o per ridurre i rischi, e le aree protette oggi rappresentano dei presidi sicuri di conservazione attiva di tante specie a rischio. Grazie alle aree protette molte specie animali e vegetali, ed importanti habitat di interesse comunitario, godono di una protezione inimmaginabile solo fino a qualche decennio poco tempo fa, e grazie alle aree protette alcune sono in netto recupero. Progetti di tutela ben realizzati, e portati avanti su una solida base scientifica hanno consentito la ricomparsa in molti territori di specie localmente estinte nel secolo scorso come ad esempio il Camoscio appenninico in Italia centrale. Questi progetti, ricorda ancora Legambiente, hanno avuto sempre come protagoniste le aree protette italiane, spesso accompagnate dalle associazioni ambientaliste e da altre istituzioni, e sempre con il supporto decisivo del mondo scientifico. Proprio l’esperienza virtuosa di molte aree protette nel nostro Paese, come i due più antichi Parchi Nazionali italiani, il Parco Nazionale del Gran Paradiso – PNGP – e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise – PNALM – sul tema della corretta gestione di specie animali e vegetali spinge a considerare il modello “Parco” come un esempio da incentivare, aumentando la superficie protetta del territorio e adottando misure efficaci per affrontare le cause di perdita di biodiversità e salvaguardare le specie a rischio.

Il Camoscio d’Abruzzo, sottospecie endemica dell’Italia centrale, è attualmente presente, con un numero di poco più di 3.700 individui complessivi, esclusivamente nel territorio di 5 aree protette: i Parchi Nazionali di Maiella, Gran Sasso e Monti della Laga, Abruzzo, Lazio e Molise, Monti Sibillini e Parco Regionale Sirente Velino. È un ungulato abituato a vivere in luoghi impervi, soprattutto pareti rocciose molto ripide, dove si ripara per sfuggire agli attacchi dei predatori. Se è allarmato emette un tipico fischio di avvertimento.

Una specie a rischio di estinzione che, grazie ad interventi mirati di tutela, affrontando tutte le criticità che ne mettevano a rischio l’esistenza e grazie ad un impegno coordinato tra mondo scientifico, aree protette, associazioni e società civile, hanno raggiunto l’obiettivo di mettere in sicurezza quello che viene definito come il camoscio più bello del mondo. Le consistenze numeriche delle popolazioni di camoscio appenninico presenti oggi, tratteggiano il quadro di una storia di successo per la conservazione della natura nel nostro Paese: la sottospecie, endemica per il nostro Appennino, è passata dalle poche decine di individui presenti agli inizi del ‘900 nell’allora Parco nazionale d’Abruzzo, ai circa 3700 animali oggi distribuiti tra cinque diverse popolazioni. Questo in base agli ultimi censimenti disponibili, che parlano di una popolazione in ripresa (quella madre del PNALM, da cui tutto è nato), di due popolazioni in ottima salute come quella del Parco nazionale della Majella (la più numerosa oggi esistente) e quella del Parco Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga, di una giovane popolazione in espansione come quella dei Monti Sibillini ed una neo-colonia, creata nell’ambito del progetto Life Coornata, che si sta consolidando nel Parco Regionale Sirente Velino.

Per raggiungere questo risultato c’è stato bisogno del lavoro comune tra le aree protette, sostenuto anche da Legambiente, ed i progetti Life finanziati dalla Commissione Europea; con il primo, realizzato tra il 2002 e il 2005 e il successivo, il Life Coornata, realizzato dal 2010 al 2014 dalle aree protette citate insieme a Legambiente e inserito tra i 27 migliori progetti Life terminati e valutati nel 2015, si è potuto raggiungere l’obiettivo di mettere in sicurezza la popolazione di camoscio nei parchi dell’appennino centrale, andando ben oltre gli obiettivi proposti sul finire degli anni ‘80 da un gruppo di studiosi che avevano lanciato l’obiettivo 2000-2000-2000, cioè avere una popolazione di almeno 2000 camosci oltre i 2000 m di quota entro l’anno 2000. Se da un lato tale progetto ha dimostrato alle istituzioni locali ed Europee come, nel nostro Paese, la gestione faunistica dei grandi mammiferi non si possa riassumere solo in termini di criticità, ma anche di esempi di buone pratiche in grado di essere efficaci e innovative (il progetto Coornata ha previsto che fossero sperimentate in appennino tecniche innovative di cattura e rilascio degli animali mai usate prima su questa entità faunistica), dall’altro ha permesso anche di coinvolgere le popolazioni, le scuole e gli operatori economici dei parchi dell’appennino in un percorso di adozione e di valorizzazione del brand del camoscio appenninico.

Da questo punto di vista importante è stato coinvolgere le aree protette dell’appennino centrale in un’azione unitaria per la conservazione di una specie selvatica utilizzando anche le aree faunistiche, realizzate dai parchi d’intesa con le comunità locali che hanno promosso nel 2016 la Carta di Farindola per la tutela del camoscio appenninico, per esaltarne ruolo e funzione, e procedere con decisione al rapido aggiornamento del Piano d’azione della specie risalente al 2001. La popolazione madre del PNALM si presenta oggi stabile e in equilibrio, con parametri vitali tipici di una popolazione storica. L’importanza delle azioni di conservazione intraprese in questi anni, prosegue sempre Legambiente, è dimostrata dalla ricolonizzazione e dalla rapida crescita osservata in alcuni settori del Parco, dalla la stabilità nei settori storici dell’areale e dalla disponibilità di habitat idonei anche nell’area contigua. Importante è stato ad esempio ridurre al minimo le fonti di disturbo nei periodi più delicati della vita del camoscio, azione portata avanti dal Parco anche con restrizioni temporanee sull’utilizzo di alcuni sentieri, una limitazione che si è resa necessaria per salvaguardare una specie unica, simbolo della conservazione della natura non solo nella regione di interesse per tutto il Paese. Si aprono ora altri interessanti fronti di studio e di approfondimento, alla luce del rinnovato stato di conservazione della specie e dei nuovi scenari che i mutamenti climatici ci mettono di fronte quotidianamente. Lo si può fare ponendoci delle domande relative agli interventi ulteriormente utili a consolidare la ripresa numerica del camoscio in Appennino, andando a facilitare ad esempio l’espansione ad areali vicinali a quelli che già ne vedono la presenza, oppure individuarne degli altri ex novo in cui, una volta verificato lo stato di idoneità all’accoglienza, effettuare nuove immissioni al fine di realizzare nuove colonie. Una seconda questione invece ci interroga sullo stretto legame che, a volte, si riscontra tra i mutamenti climatici, il ritmo cui questi si realizzano e le specie animali e vegetali che devono adattarsi ad esso. Negli ultimi anni infatti i camosci si sono spinti sempre più in alto per raggiungere pascoli più fiorenti e soprattutto per combattere l’innalzamento delle temperature. Il camoscio, sotto questo aspetto, rappresenta una vera e propria sentinella dell’ambiente. Da non dimenticare, infine, il contesto territoriale in cui sono stati portati avanti i progetti che ancora una volta sottolineano l’importanza dell’Appennino e delle sue aree protette come luogo di eccellenza per la conservazione di specie e habitat naturali e dove le comunità locali hanno svolto un ruolo strategico ed importante nella conservazione di questo “ambasciatore dei parchi” grazie alle aree faunistiche di cui sono stati grandi protagoniste. Attualmente l’espansione dei centri turistici invernali e l’ampliamento degli impianti di risalita stanno mettendo a rischio il futuro di questi splendidi animali.