Riceviamo la disperata e accorata lettera di una moglie di un agente di Polizia penitenziaria in servizio da oltre 20 anni nel carcere di Pescara: parole intrise di paura e indignazione per aggressioni e violenze ormai quotidiane. “Mio marito esce ogni mattina per servire lo Stato ma da anni non torna più intero a casa. Ha lividi ormai anche nell’anima…”
Non pubblichiamo il suo nome per quanto lei, una giovane donna mamma e moglie di una ragazza, ce lo abbia consegnato firmando una lettera animata dalla sola speranza che qualcuno, chi può e deve per ruoli, ascolti la voce dei familiari di tutti quegli agenti di polizia penitenziaria ogni giorno aggrediti dai detenuti. Si racconta facendoci vedere il quotidiano della sua famiglia da oltre 20 anni, tanti quanti quelli di servizio del marito nel carcere di Pescara: una figlia, un cane, qualche viaggio, i pranzi con i nonni ma soprattutto il terrore di non vedere rientrare il proprio compagno di vita, marito e padre. Non esitiamo a raccogliere il suo sfogo, i suoi appelli ma soprattutto la sua fiducia in noi: per questo non aggiungiamo altro lasciando alla disperazione di questa donna spazio e forza di comunicazione. Che sia la prima volta che un agente picchiato lo raccontiamo dagli occhi della sua famiglia anziché dalla dura cronaca dei fatti? Ci proviamo, facendo la nostra parte.
“Sono la moglie di uno dei due agenti feriti lunedì 13 ottobre della polizia penitenziaria. Non mettiamo il nome e cognome di mio marito per tutela di nostra figlia e perché non cerchiamo pubblicità o pena ma RISPOSTE CERTE.
Scrivo questa lettera con le mani tremanti e il cuore che grida, perché da troppo tempo ho assistito in silenzio al lento massacro psicologico e fisico del padre di mia figlia e non solo. Mio marito esce ogni giorno per servire lo Stato, come gli hanno insegnato. E quando torna a casa non torna mai completamente. Torna con i lividi sotto l’uniforme, occhi vuoti, denti stretti, e un’anima a pezzi. Torna da un inferno dove nessuno vuole vedere, per cosa per uno stipendio da miseria di 1700euro? Mio marito è a Pescara dal 2013 ma è un’agente da 33 anni. Ligio al dovere, sempre. Le carceri sono state abbandonate e hanno permesso che la violenza diventasse quotidianità, abitudine, norma. Sì mio marito è stato aggredito l’ultima volta nemmeno una settimana fa, ogni pugno, ogni taglio, ogni calcio lo abbiamo ricevuto anche io mia figlia, i miei suoceri, mio cognato. Viviamo con l’angoscia nel cuore, ogni volta che squilla il telefono, cresce la mia ansia. I problemi delle carceri li sanno tutti inutile rielencarli. Chi si occupa degli agenti? Chi si fa carico del dolore che portano dentro, della frustrazione, della rabbia per una mancata giustizia, trattati come carne da macello, come numeri. Quanti uomini dobbiamo ancora perdere?
Non vi scrive solo una moglie ma una cittadina che si rifiuta di rimanere in silenzio.
Basta ignorare, basta voltarsi dall’altra parte.
Pretendiamo rispetto, pretendiamo sicurezza, pretendiamo che chi indossa una divisa non debba avere paura di andare a lavorare. E noi familiari non possiamo vivere ogni turno nell’angoscia.
Con tutta la forza e la disperazione vi chiediamo di ESSERE VISTI, VI PREGO AIUTATECI. Sicura che la vostra sensibilità giornalistica e umana , mi dia finalmente voce. Il prossimo step sarà qualcosa di più eclatante…VOGLIAMO SICUREZZA. GRAZIE!!!”.