Sciopero della fame per il palestinese a processo a L’Aquila

Sciopero della fame per Anan Yaeesh, il palestinese a processo a L’Aquila con l’accusa di terrorismo internazionale

Yaeesh ha intrapreso lo sciopero della fame da sabato, in solidarietà con le mobilitazioni italiane per la Palestina e “per denunciare la violazione dei propri diritti”.
Lo riporta una nota del Comitato Free Anan, movimento spontaneo a difesa del 37enne arrestato lo scorso anno nel capoluogo abruzzese e di recente trasferito dal carcere di Terni a quello di Melfi (Potenza).

Il nuovo trasferimento, considerato “arbitrario” dai movimenti, lo isola dai difensori – che si
trovano a Roma – e dal tribunale dell’Aquila.

“Nel nuovo istituto penitenziario, infatti – viene spiegato nella nota – gli incontri con i legali sono diventati sempre più difficili e rari, rendendo quasi impossibile concordare la strategia difensiva. Nel carcere di Melfi vive in condizioni restrittive, con limitazioni sul cibo e sul materiale personale, compreso il sequestro delle penne per scrivere”.

Il Comitato Free Anan chiede la ricollocazione in una struttura più accessibile, la fine delle misure punitive e il rispetto dei suoi diritti fondamentali. Lo sciopero viene definito “un gesto di resistenza e dignità contro l’ingiustizia”.

Anan Yaeesh ha trentasette anni e vive in Italia dal 2017, dopo le torture subite nella Cisgiordania  occupata dai coloni israeliani. Da gennaio del 2024 è in prigione, il tribunale di Tel Aviv avrebbe voluto procedere contro di lui per terrorismo, ma l’estradizione è stata negata dai giudici italiani per il rischio concreto, una volta tornato in Israele, di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Il processo si svolge in Corte d’assise a L’Aquila, città dove viveva Anan Yaeesh al momento dell’arresto.

«Non ho un passato, se non alcuni ricordi e foto di amici uccisi per mano dell’occupazione, e di un’amica giustiziata a sangue freddo davanti ai miei occhi – ha detto Yaeesh in aula lo scorso marzo -. Ho una famiglia che non vedo da anni e due genitori morti senza realizzare il loro sogno di rivederci un’ultima volta. Ho una patria devastata, un popolo sfollato. Persino le nostre case sono state demolite dai bulldozer israeliani». Per questo, ha spiegato alla corte, «mi vergogno di cercare l’assoluzione da accuse che per me rappresentano un motivo di onore. Non voglio difendermi dall’accusa di avere dei diritti e di averli rivendicati, o di aver tentato di liberare la mia gente e il mio paese dall’oppressione coloniale».

Yaeesh infatti ha fatto parte delle Brigate di resistenza e di risposta rapida presenti in Cisgiordania, un’appartenenza peraltro nota alle autorità italiane che comunque gli rilasciarono il permesso di soggiorno e la protezione speciale, visto che il diritto internazionale riconosce la legittimità della resistenza palestinese. Il procedimento penale che si sta celebrando a L’Aquila riguarda fatti che sarebbero stati commessi in Palestina.

“Come noto, in Cisgiordania non è la resistenza a essere illegale ma, pacificamente dal 1967, tale è la condotta di quello Stato di Israele che, pur condannato dal consesso giuridico mondiale a lasciare i territori occupati illegalmente, insiste nel procrastinare indisturbato la sua politica di espansione. Il protagonista imputato Anan è un politico/militare assai noto in Cisgiordania ed eroe per quella rete resistente tanto da essere assunto a figura principale anche all’interno di canzoni popolari” si legge sul sito dinamopress.it in un articolo a firma di Giuseppe Romano.

Il racconto prosegue e vede Anan “assistere a 14 anni all’omicidio brutale della sua fidanzata e restare per 10 giorni attaccato alla tomba della ragazza, poi decidere, come tanti giovani palestinesi, di aderire alla lotta politico-militare nelle file di Fatah contro il governo nemico. Ottiene visibilità tanto da entrare nella guardia personale del presidente Arafat e venire da lui premiato, giovanissimo, con un titolo onorifico. Entra nei servizi segreti palestinesi occupandosi di sicurezza interna e diventa tra i principali nemici in loco dello stato occupante. Per evitarne l‘uccisone viene consegnato al carcere di Gerico sotto la supervisione di Stati Uniti, Inghilterra, Egitto e Giordania che ne controllano la detenzione. Nel 2006 elicotteri dell’esercito israeliano si alzano in volo su Gerico e la bombardano; Anan riesce a salvarsi e fuggire. Torna nella propria città dove cade nella trappola di un conoscente, spia dei servizi israeliani, che aprono il fuoco in un bar ferendo lui e uccidendo un amico. Anan si salva, sventa un altro tentativo di uccisone in ospedale. Dopo tre anni di carcere in 18 prigioni subendo torture, è stato scarcerato nel 2010 e continua la sua attività politica e studia scienze politiche. Nel 2013, vessato dalle continue pressioni anche sulla sua famiglia, decide di trasferirsi in Europa. Vive in Norvegia e Svezia per poi spostarsi in Italia dove gestisce un ristorante a Mestre. Da ultimo si trasferisce a L’Aquila”…

La notizie sulla vita e sull’attivismo di Anan non sono frutto di indagini della Digos abruzzese, precisa Romano, ma emergono dalle sue stesse dichiarazioni, rese in sede di richiesta di protezione internazionale alla commissione norvegese prima e italiana successivamente.

“Anan – si legge ancora su dinamopress.i – ha militato anche nell’estensione militare del partito Fatah, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Questa organizzazione rientra, sotto un profilo amministrativo, nella c.d. Black list che impedisce l’ottenimento dello status rifugiato in Europa (non ostativo ad altre forme di protezione infatti ottenute). La situazione è simile a quella in cui ci si imbatté all’arrivo a Roma Abdullah Öcalan, capo del partito curdo P.K.K. [oramai disciolto, ndr] di cui la Turchia chiese l’arresto. Öcalan fu collocato in una casa protetta e di seguito, ne fu organizzata (dal governo italiano) la fuga con direzione Sud Africa, ai fini dell’ottenimento della protezione internazionale (poi il viaggio non andò benissimo…)”.

 

Marina Moretti: