Analisi sociale e giuridica di quanto emerso dalle cronache nazionali sul gruppo Facebook “Mia Moglie”, con la pubblicazione da parte di mariti di foto intime delle proprie ignare mogli. Intanto la violenza di genere si manifesta anche in ambiti diversi da quelli soliti, tuttavia, il nostro sistema giudiziario ha gli strumenti per intervenire.
Tanta strada ancora da fare per estirpare il cancro della violenza di genere, soprattutto sotto il profilo culturale. Dall’incapacità di accettare la fine di una relazione, al maltrattamento come routine, fino a forme sempre nuove con le quali tutto questo si manifesta. Tuttavia, il recente scandalo del gruppo Facebook “Mia Moglie”, all’interno del quale numerosi mariti in tutta Italia e purtroppo anche in Abruzzo, pubblicavano foto intime della propria consorte esponendola al becero linciaggio dei commenti sessisti, al di là dello squallido concetto dell’esposizione in bella vista di ciò che viene considerata come una propria merce, fa emergere una forma inedita di violenza di genere:
“L’elemento di novità che emerge – sottolinea l’Avvocata Danielle Mastrangelo che si è dovuta occupare di numerosi episodi di violenza di genere – è che questa si manifesta in contesti normali, dove non c’è conflittualità. sereni rapporti tra marito e moglie dove non c’è nulla che lasci presagire a forme di vero e proprio maltrattamento, perché violare in questo modo la privacy di una persona è comunque un maltrattamento. Vi è ancora tanta strada da fare, purtroppo, e bisogna agire principalmente sulla mentalità per scardinare un concetto ancora troppo patriarcale.”
Sotto il profilo giuridico, invece, il nostro sistema giudiziario ha gli strumenti giusti per intervenire, anche se non mancano determinati ostacoli. intanto parliamo di reati perseguibili esclusivamente a querela e la Magistratura può intervenire d’ufficio solo se dovesse emergere, nella fattispecie, anche un reato associativo e poi, al di là di molte cose che si sono dette a riguardo, il Garante dei dati personali non ha grossi margini per intervenire, se non quello di segnalare all’Autorità competente, ovvero la Magistratura, il fenomeno. Resta però ben identificabile l’elemento all’interno del quale i responsabili possono essere perseguiti:
“Il primo punto è che si può tranquillamente configurare il reato di interferenze illecite nella vita privata – spiega Andrea Monti docente di privacy e cubersecurity all’Università “La Sapienza” di Roma – questo anche se, per intervenire, è necessario che l’immagine pubblicata renda riconoscibile la persona fotografata, non solo attraverso il viso, ma anche attraverso un dettaglio identificabile del proprio corpo, ad esempio un tatuaggio. Andrebbe però superato il limite del reato perseguibile a querela, ossia se non c’è una denuncia la Magistratura non può intervenire”.
A maggior ragione è necessario trovare la forza per denunciare anche situazioni di questo tipo, come ha ribadito, questa mattina, la presidente del Centro antiviolenza “Ananke”:
“Qui siamo difronte a gravissimi episodi di violenza psicologica – sottolinea la presidente Daniela Gagliardone – a maggior ragione il supporto che centri antiviolenza come il nostro possono dare è quello di fornire gli strumento giusti per sostenere le vittime a cominciare dal dare la forza per denunciare.”
IL SERVIZIO DEL TG8
