I terribili fatti di Sulmona ripropongono il drammatico tema del Revenge Porn, cosa rischiano coloro che ricevono determinati filmati e cosa fare per arginare una diffusione incontrollata?
Sull’abominevole fenomeno del revenge porn il sistema giudiziario italiano si è rapidamente adeguato, dando indicazioni specifiche coinvolgendo tutte la parti in causa, dalla vittima che subisce violenza e contro il suo consenso si vede diffondere in rete filmati compromettenti, dagli esecutori materiali dei video, come responsabili di reati molto gravi ancor di più se questi video vengono diffusi o pubblicati, ma anche chi, benché inconsapevolmente, riceve su un gruppo whatsapp questi filmati. Il tutto è ben definito nel’Articolo del Codice Penale 612 Ter, il ricettore di questi video che li diffonde o li pubblica rischia una pena da uno a sei anni di reclusione con ammenda che può andare dai 5000 ai 15000 euro. Si badi bene che si può incorrere nel reato anche inoltrando ingenuamente il video ad una sola persona, come semplice curiosità da condividere. L’unica cosa da fare quando si vede arrivare sul proprio dispositivo un video divenuto ben presto virale, è rivolgersi immediatamente all’Autorità Giudiziaria, Questura o Caserma dei carabinieri. Il rischio, infatti, è che si vada incontro a una sorta di reato permanente, difficile da arginare, per cui prima si pone una sorta di diga ad un flusso di per sé inarrestabile, prima si ha possibilità di porre un freno. Gli strumenti e i punti di riferimento per contrastare tutto questo ci sono, da qualche anno, in Procura a Pescara, su intuizione del Procuratore Aggiunto Anna Rita Mantini, opera l’Unità Speciale del GAV, Gruppo Antiviolenza, che con personale di Polizia Giudiziaria altamente qualificato, si mette a disposizione di tutti coloro che restano loro malgrado coinvolti in situazioni non solo di violenza di genere, ma anche di fenomeni come il revenge porn. Altro presidio di contrasto e aiuto è quello dell’Autorità garante per i minori della Regione Abruzzo, coordinata dall’avvocato Alessandra De Febis:
“Il messaggio che mi sento innanzitutto di dare – spiega la De Febis – è che i ragazzi devono tornare a parlare a non tenersi tutto dentro. Il confronto, in primis, con i genitori, ma anche con i professori, non abbiate paura di confidarvi e poi se si viene coinvolti in questi gruppi whatsapp dove si diffondono video di violenza, soprattutto di natura sessuale, rivolgetevi immediatamente, facendovi aiutare anche dai vostri genitori, alle autorità competenti, è questo l’unico modo per fermare il flusso diabolico.”
