Processo tragedia Rigopiano, dopo sei anni la sentenza. Parete: “Mi aspetto che sia fatta giustizia”

A oltre sei anni di distanza dalla tragedia giunge a conclusione il processo di primo grado per Rigopiano, l’hotel di Farindola travolto da una valanga il 18 gennaio 2017, evento in cui morirono 29 persone: imputati 30 tra amministratori e funzionari pubblici, oltre al gestore e al proprietario della struttura, accusati a vario titolo dei reati di disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni, falso, depistaggio e abusi edilizi

La sentenza è prevista per il pomeriggio di oggi giovedì 23 febbraio. Un processo che ripropone i temi della prevenzione e del rispetto delle leggi ambientali, che potrebbe fare da eco alle sentenze sulla strage di Viareggio o quella sull’operato della Commissione Grandi Rischi a pochi giorni dal sisma che sconvolse L’Aquila: ancora una volta al centro del dibattito l’operato dell’uomo nelle vesti del funzionario pubblico, che dovrebbe garantire la sicurezza ai cittadini, sia nel rispetto delle normative esistenti, sia nella fase emergenziale dei soccorsi. Sullo sfondo, e non è un fatto trascurabile, la lentezza della giustizia italiana: al di là della sospensione per Covid e dei
15 rinvii registrati sembrano troppi i 1.318 giorni intercorsi tra la prima udienza, 16 luglio 2019, e domani, giorno della sentenza, a fronte della media italiana di 1.600 giorni per i tre gradi di giudizio nel processo penale, considerando anche che si tratta di un rito abbreviato. Il pm, Giuseppe Bellelli, ha chiesto “una sentenza che in nome della Costituzione e del Popolo Italiano affermi il modello di amministratore pubblico che aveva il dovere di prevedere la valanga ed evitare la tragedia”. L’inchiesta sul disastro si è conclusa nel novembre 2018, e aveva riguardato in un primo tempo il corto circuito avvenuto tra i vari livelli istituzionali deputati a gestire l’emergenza
maltempo, chiamando in causa Regione Abruzzo, Prefettura e Provincia di Pescara, Comune di Farindola; poi si era estesa anche alla mancata realizzazione della Carta prevenzione valanghe da parte della Regione e ai permessi per la ristrutturazione del resort, per un totale di 40 indagati. A fine dicembre 2018 c’è anche un’inchiesta bis sul depistaggio, a carico del personale della Prefettura di Pescara, compreso l’ex prefetto Francesco Provolo – per aver occultato il brogliaccio delle segnalazioni del 18 gennaio alla Mobile di Pescara – con altri sette indagati. A dicembre del 2019 i vertici regionali escono dal processo con 22 archiviazioni per ex presidenti della Regione ed ex assessori regionali alla Protezione Civile. La condanna più pesante, 12 anni, è stata chiesta per l’ex prefetto Francesco Provolo; tra le altre richieste di condanna ci sono gli 11 anni e 4 mesi chiesti per il sindaco, in carica, di Farindola, Ilario Lacchetta, i sette anni e otto mesi per il gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso, i sei anni per l’ex presidente della Provincia Antonio Di Marco. Sul fronte del depistaggio in Prefettura, 2 anni e 8 mesi per Daniela Acquaviva e Giulia Pontrandolfo; due anni per Giancarlo Verzella.

Di fronte a tragedie così immani, la solita drammatica domanda: potevano essere salvate tutte quelle vite? Erano giorni terribili, l’Abruzzo intero nella morsa di una perturbazione senza precedenti, per non parlare dello sciame sismico che imperversava nel centro Italia dall’agosto del 2016. A maggior ragione, secondo l’accusa, l’Hotel andava evacuato, la Strada Provinciale resa percorribile, andava tenuto in debita considerazione il rischio valanghe, se la Regione avesse avuto una CLPV (Carta Localizzazione Pericolo Valanghe), e se tutta quella neve caduta dal 6 gennaio, ed ancor di più nella notte tra il 17 ed il 18 gennaio, avesse messo in allerta le Autorità Competenti.

E poi che ne è stato di tutte le richieste di aiuto partite dall’Hotel per e mail o sms? La Prefettura ha agito tempestivamente e l’istituzione del famoso Centro Operativo per l’emergenza è partito solo sulla carta? Dal Palazzo della Provincia perché si è di fatto ignorata la problematica dell’Hotel, dei suoi dipendenti e degli ospiti? I funzionari regionali avrebbero potuto fornire gli strumenti necessari per fronteggiare al meglio quel tipo di emergenza? E dal Comune di Farindola, così come ci si è preoccupati di liberare la strada nei giorni precedenti per consentire all’Hotel di ricevere nuovi clienti e quindi fare economia, o di intervenire tempestivamente in un’azienda agricola per salvaguardare 600 pecore e dunque la produzione del tanto apprezzato formaggio pecorino, perché non si è provveduto ad evacuare il Resort ricoperto di neve? Cosa hanno fatto i gestori dell’Hotel, a fronte di due violente scosse, per garantire la sicurezza all’interno della struttura? Totale impreparazione, a più livelli, secondo la Pubblica Accusa, che ha chiesto pene severe: dai 12 anni per l’ex Prefetto Provolo, agli 11 anni e 4 mesi per il sindaco Lacchetta ed il Tecnico Comunale Colangeli, ai 10 anni per i dirigenti provinciali D’Incecco e Di Blasio e poi a scendere per un totale di circa 150 anni per tutti i 26 imputati.

“Mi aspetto che sia fatta giustizia. In che termini non lo so, ma chi ha sbagliato deve pagare. Dal nostro punto di vista le responsabilità ci sono state e spero sia così anche per la legge. Potrei dire qualsiasi cosa, ma il processo si fa in aula. Staremo a vedere. In ogni caso siamo fiduciosi”. Lo afferma, alla vigilia della sentenza sulla tragedia dell’Hotel Rigopiano, Giampiero Parete, il cuoco che per primo, quel giorno, lanciò l’allarme. Quando la valanga travolse e distrusse il resort, infatti, Parete – oggi titolare di un ristorante a Silvi – era all’esterno della struttura per prendere alcune medicine in macchina. Capì subito la gravità dell’accaduto e provò a lanciare l’sos. Impossibile telefonare a causa dell’assenza di segnale; riuscì però, attraverso WhatsApp, a contattare il suo datore di lavoro e a far mettere in moto la macchina dei soccorsi. La storia della famiglia Parete è considerata il miracolo nella tragedia dell’hotel Rigopiano. Il cuoco si trovava lì in vacanza con la moglie Adriana e con i due figli Gianfilippo, all’epoca 8 anni, e Ludovica, 6 anni. I quattro, dopo ore di angoscia, furono tutti tratti in salvo e riuscirono a riunirsi e riabbracciarsi.

“Mi auguro che non vengano fatti sconti, che non ci sia neanche un giorno di sconto rispetto a quanto richiesto dalla Procura. Mi aspetto che sia una sentenza esemplare, per rendere omaggio a chi non c’è più e anche per tutte le altre tragedie che ci sono state, a partire dal crollo del ponte di Genova. Siamo fiduciosi”. Lo afferma Marco Foresta, che nella tragedia dell’Hotel Rigopiano perse entrambi i genitori, alla vigilia della sentenza prevista per domani. Tobia Foresta, 59 anni, e Bianca Iudicone, 50, si erano concessi un breve soggiorno nel resort, dove poi hanno trovato la morte. All’epoca dei fatti Marco, figlio unico, aveva un locale nel centro di Pescara, che chiuse pochi mesi dopo. Iniziarono così problemi e difficoltà economiche. Nel 2020, però, grazie alle forme di protezione e assistenza previste per legge per gli orfani di Rigopiano, che di fatto sono rientrati nelle cosiddette ‘categorie protette’, è stato assunto in banca.