L’Aquila, Contact center. L’appello dei sindacati: “Tutelare i lavoratori dal rischio contagio Coronavirus”

All’Aquila monta il malumore dei lavoratori dei call center, tutti operativi, per la mancata adozione delle tutele anti-Coronavirus. Ma nella maggior parte dei casi è difficile mantenere la distanza di oltre un metro tra persone, misura fondamentale per tutelare dal contagio.

Mentre nel comune calabrese di Rende il sindaco Marcello Manna sospende tutte le attività dei call center fino al 25 marzo, eccetto le aziende che svolgono servizi essenziali e che dimostrano di rispettare le norme anticontagio, all’Aquila monta il malumore dei lavoratori dei call center, tutti operativi, per la mancata adozione delle tutele anti Coronavirus. L’unico call center non operativo, è Customer 2 care, che gestisce la commessa WindTre, e che però ha rispedito i lavoratori a casa dopo la rottura con la sua subappaltata. Diversi dipendenti hanno deciso di non andare a lavorare, prendendo ferie e congedi. Ma nella maggior parte dei casi gli ambienti di lavoro sono promiscui, difficile mantenere la distanza di oltre un metro tra persone, come prescritto nei decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri, misura fondamentale per tutelare dal contagio. Tuonano i sindacati. La Cgil spiega di aver scritto alla Asl per ottenere un sopralluogo, negato per “mancanza di tempo e personale” e alla prefetta Cinzia Torraco per un incontro, la quale però è impegnata su altri fronti, essendo la Prefettura dell’Aquila coordinatrice dell’emergenza Coronavirus per tutte le prefetture d’Abruzzo). Marilena Scimia segretaria provinciale della Slc Cgil, chiarisce che senza una presa di posizione da parte delle committenti, le aziende non possono fare molto.

“I call center rappresentano il luogo di maggior assembramento di persone, con rischi di contagio enormi – dice Vincenzo Cretarola, coordinatore nazionale del settore call center del sindacato Cisal comunicazione – l’ultimo Decreto adottato dal governo per contenere l’emergenza coronavirus, non contenga alcuna disposizione riguardante i call center.

Cretarola denuncia che Comdata, che all’Aquila gestisce la commessa Inps con oltre 500 dipendenti, nelle ore scorse ha organizzato le postazioni di lavoro “a scacchiera”, ma soltanto dopo la notizia di un caso positivo al Covid-19 all’interno della sua azienda a Roma.

LA NOTA DI CISAL COMUNICAZIONE:

I Call Center rappresentano in assoluto il luogo di maggior assembramento contemporaneo e continuativo di persone.I rischi di contagio sono enormemente maggiori rispetto ad ogni altro luogo di lavoro, ma assistiamo alla grave sottovalutazione da parte delle aziende e ad una ancor peggiore indifferenza e disattenzione da parte degli Enti preposti ai controlli.

L’ultimo Decreto governativo non cita nemmeno i call center, non prevedendo nessun obbligo specifico per i committenti e per i gestori e nessuna procedura semplificata per ammortizzatori sociali, almeno per alleggerire la presenza contemporanea di migliaia di addetti in uno stesso luogo.

L’indicazione di 1 metro come distanza minima in un call center è un dato puramente statistico, impossibile da rispettare.

Eppure si tratta di un potenziale di veicolo esponenziale di contagio non solo fra i colleghi, ma fra tutta la popolazione aquilana.

La Cisal ben prima dell’ultimo Decreto del Governo aveva chiesto a Comdata, che gestisce il Contact Center Inps con oltre 500 addetti, interventi urgentissimi quali:

– Adozione rapida anche parziale di televoro, per diminuire la compresenza di troppo personale

– Riduzione dei volumi di attività concordata con Inps con garanzia dei soli servizi indifferibili

– Attestazioni ufficiali della idoneità dei locali, soprattutto di quelli chiusi, del tutto privi di finestre

– Diradamento delle postazioni di lavoro degli operatori

– Sanificazione continuativa delle postazioni ad ogni cambio di operatore

Comdata ha risposto semplicemente dicendo di essere in regola e restando indifferente alle nostre proposte.

Solo dopo alcuni giorni ha proceduto nottetempo ad organizzare – in fretta a furia e senza criteri equi e razionali – la disposizione “a scacchiera” delle postazioni, ma solo dopo aver comunicato la presenza di un caso positivo nella sua sede di Roma. Ammettendo quindi, a misfatto avvenuto, che avevamo ragione.

Fin da domenica scorsa abbiamo chiesto una verifica urgente al Servizio Prevenzione della ASL AQ1, anche per verificare l’idoneità generale di una sede di lavoro che fin dal suo avvio (2 dicembre 2019) continua a dimostrare carenze più che evidenti. Gli abbiamo illustrato in dettaglio le nostre proposte migliorative per continuare l’attività.

Il Servizio Prevenzione si è limitato a chiedere telefonicamente informazioni all’azienda, che ovviamente ha detto che era tutto a posto (smentendosi appena due giorni dopo). Mi sono sentito addirittura accusare personalmente di condurre una iniziativa “strumentale” per altri fini non meglio specificati.

E’ così che gli Enti competenti fanno i controlli nel luogo di lavoro prioritario in assoluto in un caso come questo?

Abbiamo chiesto un intervento immediato al Direttore Generale della ASL AQ1 con una relazione sull’accaduto.

Cosa dobbiamo fare per esigere rispetto per la salute non solo degli operatori dei call center?

Occorrono sempre iniziative di drammatizzazione per risolvere i problemi, in questa città?

Dobbiamo essere costretti a farle?

Venanzio Cretarola

CISAL COMUNICAZIONE NAZIONALE

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