Altro che testimonianza storica del Ventennio, l’effigie del Duce su un muro nel centro storico di Moscufo, con tanto di scritta “Noi tireremo dritto”, è stata realizzata negli anni ’50 e, pertanto, non ha alcun valore.
Non è raro imbattersi in veri e propri abbagli, quando si ha a che fare con reperti del passato, anzi, è quasi fisiologico, cose che possono accadere, insomma, basti pensare al serrato dibattito, anche nelle aule del tribunale, sull’autenticità del Guerriero di Capestrano. Tuttavia, se il Comune di Moscufo dice il vero, quando afferma che l’effigie di Benito Mussolini, all’angolo di due vicoli del centro storico, è sotto il vincolo della Sovrintendenza quale reperto storico del Ventennio e che qualsiasi forma di deturpazione andrebbe fermamente condannata, dovrebbe informarsi meglio, perché quell’effigie è essa stessa una forma di deturpazione e a sostenerlo, con cognizione di causa, è Davide Puca, ricercatore universitario, ma soprattutto nipote dell’autore di quella effigie:
“Si tratta di un manufatto post-fascista, realizzato nei prini anni Cinquanta, che mio nonno eseguì nottetempo con la copertura di figure pubbliche compiacenti, e con l’implicito assenso delle amministrazioni immediatamente successive. E’ rimasto lì, perfino ripristinato in seguito a un imbratto del 2010, ma mai accompagnato da un serio lavoro di contestualizzazione e depotenziamento. Quell’immagine non documenta il fascismo com’era: testimonia, al contrario, ciò che del fascismo è sopravvissuto dopo, nel dopoguerra, tra rimozioni, ambiguità, apologie e imbarazzi.”
Come dire che, sul piano formale, non c’è alcuna differenza tra il nonno di Davide Puca e Andrea D’Emilio, il giovane professore pescarese salito agli onori della cronaca, per aver scritto sotto quell’effigie, con vernice, tra l’altro cancellabile, che Moscufo è antifascista, subendo, per questo, improperi da parte delle Autorità Regionali, fino a rischiare il linciaggio da parte di una banda di perditempo locali e senza che il sindaco mostrasse, nei suoi confronti, sincera solidarietà. Al contrario di quanto avvenne per il nonno di Puca che per quella nostalgica “macchia”, non solo ebbe l’appoggio dei politici di allora, ricordiamo anni ’50, ma un colpevole silenzio assenso che dura ormai da 70 anni per un’opera, e definirla tale è già un’esagerazione, che vale esattamente quanto un volgare imbratto:
“La Nostra Costituzione nasce contro il fascismo – precisa ancora Puca – perciò un messaggio antifascista non può essere rubricato, in quanto tale, a “odio”: si sanziona l’atto materiaòle, ma spetta alla politica prebdersi carico del contenuto e restituirgli una forma pubblica. Il Comune – conclude Puca – avrebbe dovuto intraprendere un percorso di contestualizzazione storica e depotenziamento: vale a dire l’insieme di misure che, in casi come questo, riducono la carica celebrativa e la monumentalità del manufatto, rendendone esplicita la natura problematica e il disvalore democratico. L’eventuale vincolo della Sprintendenza andrebbe, in ogni caso, rimesso in discussione secondo le basi documentarie complete.”