Processo inquinamento acquifero Gran Sasso, tutti assolti

È arrivata la sentenza di primo grado del processo sul sistema acquifero del Gran Sasso: tutti assolti i dieci imputati

Dopo 6 anni di udienze, e a 8 dai fatti, si è chiuso con 10 assoluzioni per altrettanti imputati
il maxi processo davanti al tribunale di Teramo, epilogo dell’inchiesta aperta nel 2017 quando scoppiò l’emergenza legata a un problema di potabilità dell’acqua del Gran Sasso, il cui
uso venne bloccato per diversi giorni in 32 comuni del Teramano.
Il giudice monocratico Claudia Di Valerio ha assolto tutti gli imputati, tra cui gli ex vertici dell’Istituto di fisica nucleare del Gran Sasso, Strada dei Parchi e Ruzzo Reti. Ai dirigenti veniva contestata una serie di reati che sintetizzavano l’inerzia nelle azioni necessarie a mettere in sicurezza le acque del Gran Sasso.

Una delle accuse che ha caratterizzato la requisitoria dei pm nei confronti degli imputati è stata quella “della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini esercitata soltanto a parole ed
enunciazioni di principio, mai con i fatti”. Per questo avevano chiesto la condanna a un anno e 8 mesi e 40mila euro di multa ciascuno per i 10 imputati. Si tratta di Fernando Ferroni e Stefano Ragazzi, all’epoca dei fatti rispettivamente presidente e direttore dell’Istituto di fisica nucleare; l’allora responsabile del servizio ambiente dei laboratori Raffaele Adinolfi Falcone; di Lelio Scopa, Cesare Ramadori e Gino Lai, rispettivamente all’epoca presidente del Cda, amministratore
delegato e direttore generale di esercizio con compiti in materia di tutela ambientale di Strada dei Parchi; Antonio Forlini, Domenico Giambuzzi, Ezio Napolitani e Maurizio Faragalli, nell’ordine, sempre all’epoca dei fatti, rispettivamente presidente, responsabile dell’area tecnica, responsabile dell’unità operativa di esercizio e responsabile del Servizio acque dotto della Ruzzo Reti dal 17 gennaio 2014.
L’indagine aveva evidenziato, e da qui le accuse diventate processo, interferenze tra i laboratori, il Traforo dell’A24 e le condutture di acqua potabile della Ruzzo Reti, da cui erano derivate criticità mai sanate, che hanno costituito e costituiscono, secondo la pubblica accusa, un pericolo permanente per la salubrità delle acque a causa di un inadeguato isolamento delle opere di captazione e convogliamento di quelle destinate a uso potabile. Le motivazioni della sentenza saranno rese note entro 90 giorni.

La vicenda da anni intreccia ambiente, infrastrutture e responsabilità gestionali. Dieci gli imputati: tra loro ex dirigenti dell’Istituto di Fisica Nucleare, di Strada dei Parchi e di Ruzzo Reti. Imputati per i quali la Procura della Repubblica di Teramo rappresentata dai sostituti Greta Aloisi e Davide Rosati ha chiesto condanne per un anno e otto mesi ciascuno e 40.000 euro di multa, oltre all’accertamento della responsabilità amministrativa a carico di Ruzzo Reti e Strada dei Parchi.

Il processo nasce dall’inchiesta aperta nel 2017, quando vi fu un’emergenza legata a un problema di potabilità dell’acqua che portò al blocco dell’erogazione idrica in 32 comuni del Teramano. Secondo l’accusa, le indagini avrebbero evidenziato interferenze tra i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, le gallerie autostradali e la rete di captazione delle acque, con criticità strutturali mai del tutto risolte.

I magistrati hanno descritto un “pericolo permanente” per la salubrità delle acque, dovuto a un insufficiente isolamento delle opere di presa e di convogliamento destinate all’uso potabile. Un intreccio tecnico e gestionale che ha reso il sistema del Gran Sasso, come più volte definito, “un condominio impossibile”, dove convive una delle più grandi infrastrutture scientifiche europee, una tratta autostradale e una rete idrica strategica per il territorio abruzzese.

Strada dei Parchi, società concessionaria delle autostrade A24 e A25, ha accolto la sentenza con soddisfazione:

<SdP accoglie con viva soddisfazione la sentenza emessa dal Giudice di Teramo Claudia Di Valerio che proscioglie “perché il fatto non sussiste” tre suoi Dirigenti dalle accuse mosse nell’ambito del processo sul sistema acquifero del Gran Sasso.

La sentenza odierna, di cui si attendono le motivazioni, è coerente con l’assunto che Strada dei Parchi, pur avendo messo in atto nel corso degli anni tutti i possibili controlli e gli interventi per mitigare il rischio di incidenti, non ha mai avuto il potere di intervenire sulla sicurezza del sistema idrico del Gran Sasso con opere di impermeabilizzazione. Si tratta infatti di un’attività estranea alla convenzione con il Ministero concedente che non è mai rientrata nel perimetro delle sue responsabilità, come già chiarito al tempo della costruzione delle gallerie da un parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e ribadito in più occasioni, anche nel corso del procedimento giudiziario, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Una sentenza netta, che sgombra definitivamente il campo dalle gravi accuse di aver sottovalutato il pericolo di inquinamento e riafferma che la concessionaria Strada dei Parchi e i suoi manager hanno sempre operato, nell’espletamento delle attività oggetto della concessione, nel più scrupoloso rispetto delle prescrizioni e della normativa in materia ambientale. Si tratta anche dell’ennesima assoluzione per i manager di Strada dei Parchi, aggiungendosi alle sette assoluzioni con formula piena emesse nell’ambito dei processi per la manutenzione dei viadotti, che pone fine ad anni di inchieste e processi che hanno avuto l’effetto di gettare un ingiusto discredito sull’attività della concessionaria autostradale e dei suoi vertici. Ennesima assoluzione che consente oggi a Strada dei Parchi di proseguire con rinnovata serenità nella propria missione aziendale al servizio del territorio>.

<Questa sentenza – è il commento dell’avvocato Duccio Cerulli, difensore di uno dei dirigenti della Ruzzo Reti – è di grande soddisfazione perché credo che la decisione finale sia quella più opportuna e più giusta. L’istruttoria, purtroppo per i pubblici ministeri ma per fortuna per la salute umana, non ha portato alcunché di significativo in ordine a questo pericolo di inquinamento ambientale difficilmente dimostrabile. La vicenda ha acceso un faro importante su una problematica che assolutamente va sempre tenuta sotto controllo>.

Il commento alla sentenza da parte del WWF, costituitosi parte civile insieme ad altre associazioni:

<Per il Tribunale di Teramo non ci sono responsabili per quanto accaduto il 9 maggio 2017, quando un grave incidente portò al divieto di consumo dell’acqua in gran parte della provincia. Un episodio che mise in serio pericolo l’acquifero del Gran Sasso, una delle risorse idriche più importanti dell’Abruzzo, da cui dipende l’approvvigionamento di oltre 700.000 persone.
Una decisione che pone fine, dopo oltre otto anni di rinvii e ritardi, a un processo atteso da migliaia di cittadini e che riguardava la sicurezza di una delle risorse più preziose e fragili del nostro territorio.
Pur in attesa di leggere le motivazioni della sentenza, il WWF non nasconde la profonda amarezza per un verdetto che lascia senza risposte una comunità intera e getta un’ombra sull’effettiva capacità del nostro sistema di garantire la tutela ambientale.
È difficile accettare che, di fronte a un episodio che ha messo in serio pericolo un acquifero da cui dipende più della metà degli abruzzesi, nessuno debba rispondere di quanto accaduto.
Il WWF, costituitosi parte civile ad altre Associazioni, sottolinea che la propria azione non è mai stata finalizzata alla condanna dei singoli imputati, ma alla piena ricostruzione dei fatti e all’individuazione delle responsabilità necessarie per garantire che simili emergenze non si ripetano più. Evidentemente, otto anni non sono bastati per raggiungere questo traguardo.
Nonostante i milioni di euro spesi e la nomina di diversi commissari straordinari, la messa in sicurezza dell’acquifero non è ancora completata. Persistono criticità strutturali legate alla coesistenza tra le gallerie autostradali, i Laboratori del Gran Sasso e la falda sotterranea, con scarichi d’acqua non ancora pienamente trattati e barriere impermeabili incomplete.
È inaccettabile che, dopo tanto tempo, non ci siano risposte né garanzie reali per la tutela dell’acqua e dell’ambiente. L’acquifero del Gran Sasso deve essere considerato una priorità assoluta: la sicurezza di questa risorsa riguarda l’intera regione e la salute di centinaia di migliaia di cittadini>.