Giovanni D’Alfonso vittima delle Br: dopo 50 anni parte finalmente il processo

Al via ad Alessandria il processo, dopo quasi 50 anni, per l’uccisione dell’appuntato dei carabinieri abruzzese Giovanni D’Alfonso caduto in un conflitto a fuoco con le Brigate Rosse in Piemonte.

E’ il 5 giugno del 1975, giorno di festa per l’Arma dei Carabinieri, non per una pattuglia di Acqui Terme che, quella mattina, decide di effettuare un sopralluogo in una cascina nelle campagne piemontesi. Lì il giorno prima, una falange delle Brigate Rosse ha rinchiuso, dopo un sequestro, il noto imprenditore Vittorio Vallarino Gancia. Ne scaturisce un violento conflitto a fuoco che provoca la morte di Mara Cagol, moglie del capo delle Br Renato Curcio, e di un appuntato abruzzese, con in tasca la licenza per tornare a passare  qualche giorno  con la sua famiglia, Giovanni D’Alfonso. Una sanguinosa vicenda che non sarebbe mai stata chiarita fino in fondo se non fosse stato per la tenacia del figlio di quell’appuntato, luogotenente dei carabinieri in congedo, Bruno D’Alfonso, all’epoca aveva solo 10 anni, ma era già un uomo, quando 16 anni fa decise di fare luce, alla ricerca dell’assassino di suo padre. Ieri, finalmente, l’inizio del processo in Corte d’Assise ad Alessandria, dopo una lunga fase preliminare a Torino, tre gli imputati Lauro Azzolini, oggi 82enne, presunto esecutore materiale, e i capi storici Renato Curcio e Mario Moretti. Intanto, pronti via, un punto a favore dell’accusa, rigettata la richiesta di nullità del processo presentata dal legale di Azzolini, nulla può scalfire l’obbligo dell’azione penale e l’omicidio non ha prescrizione, soprattutto quando emergono fatti nuovi e i fatti nuovi sono chiari e lampanti:

“Da un memoriale delle Br che ricostruisce quell’evento – spiega Bruno D’Alfonso – siamo riusciti ad avere la copia originale dove sono state individuate dai Ris di Parma ben undici impronte digitali appartenenti ad Azzolini, il quale, sotto posto ad intercettazioni ambientali, confessa a un amico di essere stato lui a sparare.”

Della presenza di Azzolini, quel giorno alla cascina Spiotti, sapevano anche due carabinieri sopravvissuti, ma non hanno mai voluto dirlo pubblicamente perché minacciati. Sono entrambi deceduti e ora a parlare, di fronte alla giustizia, sono le prove schiaccianti  nei confronti di Azzolini, prossima udienza l’11 marzo, con la speranza di arrivare a sentenza entro l’anno, sarebbe un bel riconoscimento nel 50esimo anniversario della morte di Giovanni D’Alfonso per il quale si è riaperta la procedura anche per il riconoscimento di medaglia d’oro al valor militare, e non d’argento come quella consegnata anni fai ai suoi famigliari:

“Mio padre è stato un eroe e vorrei fosse ricordato così – dice ancora Bruno D’Alfonso – se da una parte sono soddisfatto per il grande lavoro della Procura Torinese, dall’altra partecipare a quelle udienze per me è come riaprire una ferita, ma vado avanti per onorare la memoria di mio padre.”

IL SERVIZIO DEL TG8

Luca Pompei: