Due cuccioli di orso di un anno e mezzo trovati morti a Scanno, in località Colle Rotondo, a circa 1.600 metri. Non sono i figli dell’orsa Amarena
Secondo una prima ricostruzione i due piccoli orsi sarebbero annegati in un lago artificiale che si trova non lontano dalla ex stazione sciistica oggi dismessa. Si tratta di una zona esterna a quella
del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise.
A lanciare l’allarme è stato un cittadino di Scanno. Secondo una prima ipotesi si tratterebbe di annegamento, anche se intorno alle carcasse degli orsi sono stati rinvenuti una decina
di ranocchi senza vita.
Sul posto sono intervenuti i carabinieri forestali dell’Aquila, la veterinaria del servizio Asl e i guardia parco. Le carcasse saranno esaminate nell’istituto zooprofilattico di Teramo.
“Sono maschi e hanno un anno e mezzo. Non sono i cuccioli di Amarena. – chiarisce Luciano Sammarone, direttore del Parco Nazionale Abruzzo Lazio e Molise – Siamo certi che la causa del decesso è l’annegamento. Quello che possiamo affermare è che non sono i cuccioli di Amarena, morta nel 2023. Questo non cambia le cose. Resta da capire come sono entrati nella struttura”.
La Procura della repubblica di Sulmona (L’Aquila) ha aperto un’inchiesta sulla morte dei due
cuccioli di orso trovati stamane nell’invaso di innevamento artificiale di Colle Rotondo a Scanno (L’Aquila). Un atto dovuto quella della Procura che ha disposto accertamenti. L’invaso artificiale di innevamento di Scanno era già stato oggetto di interventi di messa in sicurezza da parte dell’associazione Salviamo l’Orso, nel 2021. Erano state installate quattro griglie metalliche poggiate sulle sponde dell’invaso, scivolose a causa dei teli in plastica. Le stesse, però, erano
state distrutte dal peso della neve e del ghiaccio che in inverno ricopre l’invaso. Proprio in considerazione dell’esito dei precedenti interventi le associazioni Rewilding Apennines e
Salviamo l’Orso, insieme al Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (Pnalm) e al Comune di Scanno, responsabile della gestione dell’infrastruttura, stavano definendo gli interventi per la messa in sicurezza definitiva che doveva necessariamente riguardare la recinzione dell’invaso, anche a
tutela della pubblica incolumità, perché la stessa aveva diversi problemi di tenuta, tanto che gli orsi sono riusciti a superarla e ad accedere alle sponde.
“Tanto lavoro è stato svolto, e viene svolto continuamente, dal Parco e dalle associazioni Salviamo l’Orso e Rewilding Apennines, col censimento e la messa in sicurezza di decine di situazioni analoghe, soprattutto dopo il tragico evento della Serralunga del 2018. – sottolinea il Pnalm in una nota – Difficile testimoniare lo stato d’animo di ognuno di noi per questa terribile perdita. Non si tratta di dispiacere, ma di un dolore profondo che scatena mille domande. L’evento nefasto ancora una volta ci ricorda quanto complessa e delicata è la sfida della conservazione, di cui ci facciamo carico, lavorando però all’interno di un quadro normativo che ci dà la responsabilità della tutela senza darci i mezzi giuridici adeguati ad affrontare tutte le situazioni, tenuto conto che ci
sono anche altre Istituzioni che hanno la titolarità degli interventi, sia all’interno sia nei territori contermini al Parco”.
Per il presidente del Parco, Giovanni Cannata, “avere la responsabilità significa anche poter agire senza se e senza ma per la conservazione degli habitat e della fauna, in un quadro organico coordinato con le altre Istituzioni, il ministero dell’Ambiente, le Regioni, le altre aree protette e i Comuni impegnati sullo stesso fronte. Essendo l’orso bruno marsicano una specie a rischio d’estinzione, questo dovrebbe generare in ogni Istituzione coinvolta un senso di forte priorità sulle
azioni da fare e sulle risorse da investire. Ad oggi, purtroppo, questo non è così scontato”.
In una nota a commento dell’episodio il WWF si chiede chi avrebbe dovuto vigilare sulla sicurezza dell’invaso.
Dal 1970 ad oggi sono stati registrati 139 decessi tra gli orsi marsicani e circa l’80% di questi animali è morto per cause umane, illegali (bracconaggio) o accidentali. Il 48% dei decessi è causato da episodi di bracconaggio (colpi d’arma da fuoco, trappole o veleno) e il 32% da cause accidentali (incidenti stradali e annegamento): nel complesso, dunque, l’80% degli orsi trovati morti è stato ucciso in questi ultimi 55 anni da cause umane.
“La perdita di due orsi su una popolazione di circa 60 individui è gravissima e fa compiere un ulteriore passo verso l’estinzione di questa sottospecie unica che vive solo nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, nel Parco Nazionale della Maiella e in poche altre aree appenniniche limitrofe.
È assurdo perdere altri due orsi di una popolazione unica e a rischio critico di estinzione in questa maniera. – sottolinea il WWF Italia – È vergognoso che dopo i due tragici episodi del 2010 e del 2018, in cui due femmine e tre cuccioli morirono in una vasca per la raccolta dell’acqua in località Le Fossette, tra Balsorano e Villavallelonga, vi siano ancora strutture abbandonate che si trasformano in vere e proprie trappole mortali per gli orsi e per altri animali. Ben 7 orsi negli ultimi 15 anni sono morti annegati in strutture colpevolmente non messe in sicurezza. Numeri inaccettabili. Salvare l’orso bruno marsicano dall’estinzione dovrebbe essere un impegno primario per tutta la comunità abruzzese e nazionale. Come sempre attenderemo che la magistratura svolga le indagini per capire se ci sono delle responsabilità però non ci si può non chiedere come sia possibile che invasi come questi siano realizzati e poi abbandonati senza che nessuno se ne curi”.
“Noi comunque- si legge in una breve nota AIDAA – invieremo domattina un esposto alla procura dell’AQUILA per chiedere che la magistratura effettui tutti gli accertamenti di sua competenza per verificare non solo le cause dirette della morte dei due cuccioli ma anche eventuali fattori esterni che possono aver causato questa importante perdita”.