Era la sera del 9 ottobre 1963, quando nel nuovo bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont una frana precipitò dal Monte Toc provocando un’onda di piena che distrusse tutti gli abitati lungo le sponde del lago nei comuni di Erto e Casso e la successiva inondazione distrusse i paesi a fondovalle tra cui Longarone
Nella tragedia morirono 1917 persone tra cui 487 bambini. Da allora sono trascorsi 62 anni ed un filo invisibile lega l’Abruzzo a quei luoghi tra le province di Belluno e Pordenone. Come ricorda Andrea Di Antonio, un teramano residente da alcuni anni a Cambridge nel Regno Unito dove svolge l’attività di ingegnere informatico, autore del libro “La notte più buia della valle” e del podcast “Voci dal Vajont”, l’Abruzzo è legato in maniera profonda e storica a quella tragedia. Già alla fine degli anni ’50, con la costruzione della diga del Vajont, un contributo fondamentale venne dagli operai abruzzesi di Lettomanoppello, conosciuti come “acrobati delle dighe”, capaci di lavorare a grandi altezze in condizioni estremamente pericolose. Il legame si consolidò dopo il disastro. Il giudice istruttore Mario Fabbri, figura centrale delle indagini, aveva prestato servizio come cancelliere a Nereto; i primi due gradi del processo penale contro i responsabili si tennero a L’Aquila, dove gli atti furono custoditi fino al terremoto del 2009. La mattina immediatamente dopo la sciagura la macchina dei soccorsi si mise in moto. Tra i soccorritori vi furono diversi abruzzesi, tra cui il tenente alpino Vittorio Valentini di Francavilla al Mare. A conferma di questa connessione storica, lo scorso 25 maggio 2025, nella Sala Consiliare del Comune di Longarone, è stato ufficialmente sottoscritto il Patto d’Amicizia tra il Comune di Teramo e il Comune di Longarone, un atto che rinnova e istituzionalizza questo legame.