Università Chieti, il triceratopo “Big John” morto per una ferita infetta

Fu una ferita infetta a portare alla morte nel giro di poche settimane il più grande triceratopo mai scoperto finora, chiamato ‘Big John’ per le sue dimensioni, un dinosauro erbivoro vissuto 70 milioni di anni fa.

È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports, e presentato dalla National Geographic Society. La ricerca, che grazie a metodi innovativi ha permesso di ricostruire gli ultimi giorni di vita e di stabilire la causa della morte del dinosauro, è stata condotta dal Museo universitario di Chieti e del dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento dell’Università “D’Annunzio” di Chieti-Pescara. Le ossa del dinosauro furono ritrovate nel maggio 2014 negli Stati Uniti, nella formazione Hell Creek del Cretaceo superiore in South Dakota. Lo scavo e il recupero hanno richiesto più di un anno di lavoro e le migliaia di frammenti ossei recuperati sono stati inviati a uno dei più affidabili laboratori di restauro paleontologico al mondo, quelli della Zoic di Trieste, diretta da Flavio Bacchia. ‘Big John’, è risultato completo al 60% e il suo cranio addirittura al 75%.
Ruggero D’Anastasio e gli altri scienziati del Museo universitario di Chieti, guidati da Luigi Capasso, hanno analizzato e studiato le ossa fossili di ‘Big John’ ed hanno scoperto una grave lesione traumatica al cranio, prodotta dall’impatto con un corpo duro che corrisponde, per forma e dimensioni, al corno centrale di un altro esemplare di triceratopo. Tutte le evidenze, incluse le modalità con le quali il colpo fu inferto, hanno portato a concludere che il trauma si era verificato durante il combattimento con un altro triceratopo, probabilmente uno scontro per motivi sessuali. Ma
la ferita si infettò, come è stato dimostrato mediante l’esame istologico dell’osso circostante. E l’infezione portò alla morte.

“E’ una sorta di analisi autoptica di un grosso dinosauro erbivoro – dice Capasso – che mette in evidenza come il nostro gruppo di lavoro del Museo di Chieti possieda competenze trasversali, strumenti avanzati e contatti internazionali bene articolati, tanto da arrivare a risultati insperabili soltanto pochi anni fa”.