Anche in Abruzzo reazioni dopo la chiusura della pagina Facebook “Mia moglie” in cui venivano condivise foto intime di mogli e compagne
È vero, ormai sui social c’è un gruppo per tutto e tutti, dagli amanti delle pratoline al tramonto ai nemici della pianola. Ma quello appena chiuso su Facebook non solo ha dell’incredibile, ma riporta la nostra società indietro di parecchio, come se la presa di coscienza, le lotte delle donne e la consapevolezza dell’umanità non fossero mai avvenute.
Il gruppo in questione si chiamava “Mia moglie”, una bella pensata di qualcuno che ha raccolto, attenzione, non pochi scostumati, ma ben 31.000 signori così nobili da esporre le foto intime della propria donna alla mercé e al pubblico piacere di altri degni compari. Non solo: le immagini, pubblicate all’insaputa delle donne, erano spesso accompagnate da commenti violenti e sessisti. Ovviamente, tra i 31.000, non poteva mancare qualche abruzzese, non è che siamo esenti dalle nefandezze per grazia ricevuta. Molti quelli che hanno postato foto dei mogli e compagne, e molti anche gli abruzzesi che hanno commentato, spesso in maniera greve e sessista, e condiviso. Chi ha potuto visitare la pagina prima che venisse oscurata parla di professionisti, imprenditori, funzionari pubblici, candidati sindaci, medici e giornalisti. Sono già partite alcune denunce da parte delle vittime dell’ignobile esposizione di momenti privati. I reati ipotizzati vanno dalla diffamazione alla diffusione di materiale intimo senza consenso.
A commentare proprio il caso abruzzese è Maria Citarella, della segreteria dei GD Abruzzo:
<La testimonianza dell’iscritto aquilano al gruppo Facebook “Mia moglie” è spregevole. Affermare di essersi iscritto solo per guardare e passare il tempo, senza fare nulla di male, vuol dire essere complici di un sistema che continua a oggettificare le donne, nel 2025. Non solo rimanere in silenzio, ma anche apprezzare le foto e i commenti vuol dire essere complici al pari di chi pubblicava e commentava attivamente.
Passare appresso leggendo i commenti sessisti voleva dire legittimarli, non vederci nulla di sbagliato. Ciò che forse ancora non è chiaro ai più è che le donne subiscono una violenza sistematica, verbale e fisica. Continuano ad essere uccise dai propri partner perché gli uomini non le vedono come persone, ma come oggetti di loro proprietà e il gruppo Facebook “Mia moglie” ne rappresenta l’ennesima prova. Non c’è alcun tipo di rispetto nei confronti delle donne. La storia ci insegna che l’indifferenza è la miglior complice del male, al pari di chi lo commette. Ciò che servirebbe – continua Maria Citarella – è una presa di coscienza da parte degli uomini e una loro responsabilizzazione. Viviamo in una società che colpevolizza continuamente le donne, ma se il problema sono gli uomini, allora sono loro che devono cambiare. Vorremmo vederli al fianco delle donne, sentirli denunciare quando vedono un’ingiustizia, accorgersi di quando commettono atti sessisti nonché vere e proprie violenze. Serve la collaborazione di tutti per riuscire a distruggere questo sistema: un’alleanza tra uomini e donne, ma soprattutto tra gli uomini per decostruire il comportamento violento e irrispettoso di alcuni di essi>.
<Violenza è anche il fatto che lo spazio digitale continua a non essere controllato – aggiunge Saverio Gileno, segretario regionale dei GD –. Come afferma il signore aquilano iscritto al gruppo Facebook: “Ormai navighi sui social e ne compaiono a decine ogni giorno” riferendosi alle foto del gruppo. È inaccettabile che sia tutto concesso e sdoganato e che l’unico metodo per combattere le violenze sui social siano le segnalazioni delle singole persone. Ormai i social sono una realtà virtuale che affianca quella fisica, è necessaria un’ampia riflessione sul metodo e provvedimenti che consentano di prevenire reati e storture, nonché controllare e punire chi commette tali violenze violazioni>.
È di queste ore la notizia che (finalmente) Meta abbia deciso di chiudere la pagina Facebook in questione, attiva dal 2019 e che ha raccolto ben 32.000 iscritti.
La Polizia postale indaga, ma in molti temono che il gruppo verrà riaperto altrove e con sotto mentite spoglie, forse su Telegram o WhatsApp.
