Un allucinogeno, la psilocibina, come trattamento per la depressione che non risponde ai farmaci. A Chieti la sperimentazione clinica
È la prima volta che la terapia psichedelica viene utilizzata in uno studio sperimentale, autorizzato dall’Agenzia Italiana del Farmaco. Lo studio è condotto nella Clinica Psichiatrica dell’ospedale di Chieti diretta da Giovanni Martinotti (nella foto), con il contributo del Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche dell’Università d’Annunzio e in collaborazione con la Asl Roma 5 e l’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia.
L’interesse legato alla sperimentazione risiede negli effetti allucinogeni prodotti dalla psilocibina, un composto naturale contenuto in alcune specie di funghi: una volta assunto viene trasformato nell’organismo in psilocina, che agisce su recettori della serotonina modulando l’attività delle reti cerebrali coinvolte nell’umore, nella percezione e nel pensiero.
Negli ultimi anni diversi studi clinici condotti negli Stati Uniti, Regno Unito, Svizzera e Australia hanno evidenziato che una o due somministrazioni di psilocibina possono produrre effetti antidepressivi rapidi e duraturi, con miglioramenti clinici significativi persistenti fino a sei mesi in pazienti con depressione resistente ai trattamenti tradizionali.
Lo studio, finanziato con fondi PNRR e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità sotto la supervisione di Francesca Zoratto, avrà una durata di 24 mesi e prevede l’arruolamento di 68 pazienti con depressione resistente che saranno trattati con psilocibina; gli effetti saranno valutati con tecniche avanzate di neuroimaging e neurofisiologia, metodologie che permettono di ottenere immagini dettagliate del cervello, con l’obiettivo di identificare biomarcatori cerebrali e definire nuove strategie di psichiatria di precisione.
“Siamo di fronte a un cambio di paradigma sia scientifico che culturale – sottolinea Giovanni Martinotti, professore ordinario di Psichiatria all’Università di Chieti – che ci permette di saperne di più sul potenziale antidepressivo della psilocibina e sulle sue modalità di azione. È una grande occasione per la ricerca italiana e per migliorare le cure per la salute mentale. Queste conoscenze potranno rendere l’impiego delle nuove molecole ancora più sicuro, accettabile e accessibile per l’applicazione in ambito clinico”.
Francesca Zoratto, capo ricercatore del progetto, aggiunge:
“Per la prima volta potremo valutare l’efficacia della della psilocibina in un contesto rigorosamente controllato e clinicamente supervisionato, ma anche esplorarne forme innovative come quella non psichedelica, che possa eliminare gli effetti allucinogeni mantenendo il potenziale terapeutico”.
