Banche, in Abruzzo gli sportelli scendono del 5,1% nel 2023

“Le banche non solo abbandonano i nostri territori, ma sembrano avere una gran fretta di farlo, con chiusure che procedono a una velocità maggiore rispetto a quanto avviene nelle altre regioni”. Lo afferma, a proposito dell’Abruzzo, la Fisac Cgil Abruzzo Molise che, analizzando i
dati Bankitalia, sottolinea come ogni anno la situazione appaia “peggiorata rispetto a quello precedente”.

A livello regionale, gli sportelli bancari sono passati dai 429 del 2022 ai 407 del 2023, con una flessione di 22 unità, pari al -5,1%. La flessione arriva al -25,9% considerando gli ultimi cinque anni, dato che – rileva il sindacato – colloca l’Abruzzo al secondo posto tra le regioni peggiori d’Italia. A livello provinciale, in testa c’è la provincia dell’Aquila, con una variazione del -29,4% nei cinque anni (-4,3% nel 2023), seguita dal Teramano (-26,7%; +6,1% nel 2023), dal Pescarese (-24,3%; -4,8% nel 2023) e dal Chietino (-23,5%; -5,1% nel 2023). Il risultato di tale situazione è che nel 2023, in Abruzzo, solo il 39% dei comuni, cioè 119, ha almeno uno sportello bancario, dato di gran lunga inferiore alla media nazionale del 58,9%. Il dato scende addirittura al 26,9% nell’Aquilano, mentre arriva al 63,8% nel Teramano. Il sindacato parla infatti di “due situazioni ben distinte: ad una, tutto sommato accettabile, nelle province di Pescara e Teramo, fa da contraltare il dato relativo alle province di Chieti e L’Aquila, caratterizzate da tanti comuni ubicati nelle aree interne”.

L’andamento degli occupati nel settore bancario conferma la situazione in atto: tra il 2022 e il 2023 sono passati da 2.870 a 2.797, con una variazione del -2,5%, percentuale che arriva al -19,5% considerando gli ultimi cinque anni (-5,8% in Italia). “Il tema dell’abbandono bancario – commenta il sindacato – ha visto la Fisac impegnarsi a fondo, per denunciarlo ma anche per cercare di proporre soluzioni alle aziende bancarie. Un possibile provvedimento potrebbe consistere nello spostare i centri direzionali dalle regioni del Nord a quelle del centro Sud, riuscendo così a tamponare almeno l’emorragia occupazionale, senza peraltro arrecare disagio alle aziende”.