Anche l’Abruzzo nell’esperimento che riconsidera l’evoluzione delle stelle

Una terra rara costringe a rivedere l’evoluzione delle stelle con l’esperimento n_Tof cel Cern, guidato dall’Istituto nazionale di Fisica nucleare

Costringe a rivedere le teorie attuali sull’evoluzione delle stelle, una delle cosiddette terre rare. Il cerio, molto utilizzato in alcuni tipi di lampadine alle Tv a schermo piatto, viene infatti prodotto dalle stelle in quantità molto inferiori a quelle previste. Lo ha dimostrato l’esperimento del Cern chiamato n_Tof, del quale l’Italia è capofila con l’Istituto nazionale di Fisica nucleare ed Enea. I risultati sono pubblicati sulla rivista Physical Review Letters.

I nuovi dati costringono così a rivedere la teoria sui meccanismi che fino a oggi si credeva fossero responsabili della produzione di questo elemento nelle stelle, con importanti conseguenze anche su tutti gli elementi più pesanti.
Relativamente raro nella crosta terrestre, nell’universo il cerio è leggermente più abbondante e il cuore di questo studio è stato misurare una reazione analoga a quella che, nelle stelle, sarebbe alla base della nascita di questo elemento.

La nuova misura «ci ha permesso di identificare risonanze nucleari mai osservate prima nell’intervallo di energie coinvolte nella produzione del cerio nelle stelle», ha detto Simone Amaducci, dei Laboratori nazionali del Sud dell’Infn a Catania e primo autore dello studio. «Questo grazie all’altissima risoluzione energetica dell’apparato sperimentale e alla disponibilità di un campione purissimo di cerio 140».

L’esperimento, proposto da Sergio Cristallo dell’Osservatorio Astronomico d’Abruzzo dell’Inaf, apre nuovi interrogativi sulla natura e sulla composizione chimica dell’universo.

«Quello che ci ha incuriosito all’inizio è stata una discrepanza tra i modelli stellari teorici e i dati osservativi del cerio nelle stelle dell’ammasso globulare M22 nella costellazione del Sagittario», ha osservato Cristallo. «I nuovi dati nucleari differiscono significativamente, fino al 40%, da quelli presenti nei database nucleari attualmente utilizzati, decisamente oltre l’incertezza stimata».