Coronavirus, deserto aree interne, sindaco: “Campotosto non vive più”

Il coronavirus rischia di dare una mazzata mortale, economica e sociale, alle zone interne appenniniche dell’Abruzzo, e del Molise che avevano già avuto una spallata molto pesante con i terremoti dell’Aquila del 2009 e del Centro Italia del 2016 e 2017.

Un esempio emblematico viene dal comune di Campotosto, 1420 metri di altitudine, che “vive”, oggi meglio dire “viveva” intorno alle attività legate alla diga e al lago, molto frequentato dai turisti. A fare da contraltare alla nuova situazione di grande disagio, il fatto che non si sono verificate positività o casi sospetti di covid-19. Nel centro montano sono residenti 540 persone: ma in inverno a Campotosto e nelle frazioni di Mascioni e Poggio Cancelli, nelle case riaperte e in quelle provvisorie, abitano complessivamente circa 120 persone, tra cui molti anziani. La frazione di Ortolano è fantasma dopo la slavina del gennaio del 2017 causata dalla nevicata e dalle scosse di terremoto. Con la chiusura di bar e ristoranti, non c’è più socialità: in un territorio per lunghi periodi con temperature pungenti, erano oltre che esercizi commerciali centri di ritrovo per gli anziani che giornalmente facevano anche la partita a carte.

“Se la stretta dovesse durare molto, per noi la emergenza potrebbe essere letale – spiega il sindaco di Campotosto, Luigi Cannavicci – Siamo convinti di dover dare il nostro contributo e che rimanere a casa è una buona cosa, ma noi siamo giù moralmente. La minima economia rappresentata dai ristoranti che si reggevano con i turisti, pochi per la verità, e con i tecnici dell’Enel impegnati nella manutenzione della diga, è stata cancellata. Speriamo che quando questo momento drammatico sarà finito, ci si ricordi che le zone interne meno ricche devono ricevere sostegni maggiori di quelle ricche che hanno fisiologicamente più mezzi per ripartire”.

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