Avezzano, processo costruzione uffici comunali

Tre anni e otto mesi di reclusione per uno dei tre imputati, Goffredo Mascitti; tre anni e quattro mesi ciascuno per gli altri due, Paolo Santoro e Massimo De Sanctis. Queste le richieste al gup nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’inchiesta sulla costruzione dei nuovi uffici comunali di Avezzano.

Queste, dunque, le pene che il sostituto Procuratore presso il Tribunale di Avezzano, Maurizio Maria Cerrato, ha chiesto al gup nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’inchiesta sulla costruzione dei nuovi uffici comunali di Avezzano. La parte civile rappresentata dall’avvocato Leonardo Casciere, per conto dell’amministrazione comunale, ha chiesto un risarcimento di oltre 12 milioni di euro. La parola passa adesso alla difesa di Mascitti (imprenditore legale rappresentante della Irim srl che agiva per il gruppo di imprese che ha proposto gli interventi), Santoro (ingegnere nominato direttore dei lavori dalla Irim) e De Sanctis (dirigente tecnico del settore urbanistica del comune di Avezzano), accusati di truffa aggravata in concorso ai danni del comune. Il collegio di difesa il 28 settembre prossimo illustrerà al Gup, Maria Proia, nell’ambito del giudizio abbreviato, le motivazioni tendenti a smontare l’accusa. La vicenda si trascina, ormai, da oltre 13 anni anni, quando la Giunta comunale, presieduta dall’allora sindaco, Antonello Floris, presentò un progetto per la realizzazione di un edificio nella zona nord della città di Avezzano che avrebbe dovuto ospitare tutti gli uffici comunali e riqualificare il quartiere. Il costo della struttura era stato stimato intorno ai 6,5 milioni di euro ricavabili, in parte, da finanziamenti pubblici. Secondo la Procura, che all’epoca aprì l’inchiesta, l’operazione di variante del 2007 avrebbe fatto raddoppiare il costo dell’opera, nonostante le assicurazioni dell’assenza di costi ulteriori. Nell’ambito dell’inchiesta fu rinviato a giudizio l’ex assessore all’urbanistica, Vincenzo Ridolfi, che è stato assolto perché il fatto non sussiste