Ancora un’aggressione in carcere in Abruzzo. A Sulmona, un detenuto ha preso a schiaffi un agente di Polizia penitenziaria prima di un colloquio con i familiari. Sappe: “L’incontro non doveva essergli concesso”
Il segretario regionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, Giuseppe Ninu, parla di “Martedì di sangue nel carcere di Sulmona”.
Il segretario Ninu racconta che, due giorni fa, “un detenuto, spalleggiato da altri due ristretti, si è recato all’ufficio spesa, prima di un colloquio con i familiari, per prendere delle patatine, come se dovesse recarsi ad un apericena e non fosse in un carcere. La cosa non era fattibile perché l’ufficio non è un negozio dove uno entra e compra, ma ha ovviamente una organizzazione differente, fatta di domande scritte e relative autorizzazioni, legate proprio alla sicurezza interna. Al giusto diniego dell’Ispettore Superiore, il detenuto gli si è scagliato contro e lo ha aggredito anche con schiaffi, tanto da avere un referto di giorni sette di prognosi. Ma la cosa grave è che, nonostante il detenuto si era appena reso responsabile di una violenta aggressione, gli è stato comunque concesso di fare il colloquio! Quasi un premio per il suo vile comportamento…”.
Sull’aggressione nel carcere di Sulmona interviene anche il segretario generale del SAPPE, Donato Capece, che in una nota scrive:
“Chiunque aggredisce un appartenente alle Forze di Polizia nell’esercizio delle sue funzioni istituzioni, aggredisce non solo la persona fisica ma attacca lo Stato. E la risposta deve essere ferma e tale da impedire gravi fenomeni di emulazione. Dobbiamo dare atto che, rispetto al passato, l’attuale governo e l’Amministrazione Penitenziaria hanno mostrato maggiore ascolto e sensibilità nei confronti delle criticità del settore. Ma proprio per questo ci aspettiamo di più. Serve uno sforzo ulteriore, più deciso e strutturale, perché non bastano le buone intenzioni: occorrono atti concreti, urgenti e coraggiosi”.
Il segretario Capece rivolge un appello alle istituzioni politiche: “Il nostro terreno d’elezione, la nostra palestra d’esercizio è l’Istituto penitenziario perché è lì che siamo chiamati a profondere quotidianamente le nostre tante energie professionali ed umane: luogo di espiazione ma anche luogo di riscatto. E non solo per caratteristiche oggettive, ma per la qualità e l’impegno di coloro che vi operano. Ed è per questo che torniamo a chiedere la dotazione, per il personale del Corpo, di strumenti di tutela e garanzia non letali come i flash ball ed i bola wrap: il primo è un fucile che spara proiettili di gomma, già in dotazione alla Polizia Penitenziaria francese, mentre la seconda è un’arma di difesa che spara lacci bloccante le gambe dei riottosi, anch’essa già in uso ad alcune Polizie locali di alcune città italiane”.
