N’drangheta, gli arrestati non rispondono al Gip di Chieti

N’drangehta, gli arrestati non rispondono al Gip di Chieti. Si sono avvalse della facoltà di non rispondere due delle quattro persone sottoposte oggi all’interrogatorio di garanzia davanti al gip del Tribunale di Chieti Luca De Ninis, ed arrestate insieme ad altre 15 persone lo scorso 21 febbraio dai carabinieri di Chieti i quali, al termine di un’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia de L’Aquila, hanno sgominato una cellula abruzzese della ndrangheta che ha a capo Simone Cuppari, 36 anni di origini calabresi ma residente da tempo a Francavilla al Mare.

Della facoltà di non rispondere si sono avvalsi Costantino Misiano, 59 anni, pure calabrese, difeso dall’avv. Benedetto Spinazzola, e un altro calabrese, Giuseppe Lo Presti di 33 anni, assistito dagli avvocati Stefano Sassano e Massimo Ritucci. Si è detto estraneo all’associazione per delinquere di stampo mafioso che gli viene contestata a tutti gli indagati, Tonino Ballone, 43 anni di Pescara. L’uomo, che è assistito dall’avv. Goffredo Tatozzi, ha giustificato la conoscenza con Cuppari sostenendo di aver lavorato con per lui, come piastrellista, nella realizzazione di un villaggio turistico a Brancaleone, producendo durante a sostegno della sua linea difensiva della documentazione, fra cui un computo metrico del villaggio. Ballone ha anche detto di non conoscere molti degli altri indagati. L’avv. Tatozzi ha presentato istanza di rimessione in libertà o di arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. Ha risposto all’interrogatorio, Enea Melo, l’albanese di 29anni che risiede a Francavilla al Mare. Ma il suo legale, l’avv. Giovanni Nunnari, al termine dell’interrogatorio ha riferito solo che il suo assistito ha risposto a tutte le domande, senza entrare nei particolari. Secondo i carabinieri la cellula malavitosa aveva consolidato un efficiente canale di approvvigionamento di ingenti quantità di cocaina da un gruppo di affiliati alla ‘ndrangheta in Lombardia, a loro volta riconducibili alle famiglie della ”Locale di Platì”. La droga proveniente dalla Lombardia, una volta in Abruzzo, finiva sul mercato delle zona di Chieti e Pescara. E i proventi dello spaccio venivano reimpiegati nell’acquisizione di attività commerciali nel settore della raccolta di scommesse elettroniche e nella ristorazione, e in episodi di usura in danno di piccoli commercianti ed imprenditori locali in difficoltà pretendendo da essi interessi esorbitanti. I reati contestati a tutti gli arrestati, sono l’associazione per delinquere di stampo mafioso, con l’aggravante di essere associazione armata, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, detenzione illegale di armi da fuoco, estorsione, usura, incendio di esercizio pubblico e di autovettura e intestazione fittizia di beni, con l’aggravante di essersi avvalsi dei metodi mafiosi.