Un anno fa i sette capodogli spiaggiati a Vasto

Un anno fa i sette capodogli spiaggiati a Vasto per ragioni non ancora chiarite. L’immagine fece il giro del mondo, gli animali sono diventati simbolo di un malessere ambientale che affligge l’Adriatico.

Sette capodogli spiaggiati sull’arenile di Vasto, sette poveri animali boccheggianti, quattro dei quali aiutati a riprendere il largo dai tanti generosi soccorritori accorsi sul posto. A distanza di un anno esatto dal quel giorno, ieri il Wwf della zona Frentana e Costa Teatina e il Centro Studi Cetacei di Pescara hanno voluto ricordare l’episodio sistemando una pianta di tuberosa sulla sabbia della riserva di Punta Aderci. I capodogli, che avevano perso l’orientamento, vennero aiutati da decine e decine di volontari e dagli uomini della Guardia Costiera. Ieri, vicino alla riva, qualcuno ha disegnato un capodoglio, qualcun altro ha sistemato una sorta di monumento che riproduce l’animale.

“A rivedere questi luoghi ho riprovato un’emozione fortissima – dice Vincenzo Olivieri presidente del Centro Studi Cetacei – l’anno scorso, esattamente a quest’ora, eravamo alle prese con dei capodogli ancora in vita, che fortunatamente siamo riusciti a riportare nel loro ambiente e di cui non abbiamo avuto successive notizie di spiaggiamento. A questo punto possiamo considerare l’operazione perfettamente riuscita. E’ un’operazione che raramente riesce, e da quanto abbiamo memoria è la prima volta che possiamo dire di averla realizzata in Italia”.

Ancora da accertare le cause dello spiaggiamento; in un primo momento si era parlato anche della possibile influenza sul senso di orientamento degli animali delle tecniche di air gun, utilizzate per la ricerca petrolifera in mare (menntre deve essere ancora discussa la proposta di legge che punta a regolamentarle).

“Bisogna avere rispetto del mare – dice Fabrizia Arduini, responsabile del WWF Zona Frentana e Costa Teatina – utilizzando le sue risorse sempre nel pieno rispetto con attività compatibili. Siamo contrari alle ricerche petrolifere e all’utilizzo dell’airgun”.

 

Marina Moretti: