Una tonnellata di veleni al giorno, sversati nel fiume Tirino dal polo chimico di Bussi durante la sua fase produttiva: questo l’impressionante quantitativo individuato dai pm Annarita Mantini e Giuseppe Bellelli nel corso della lunga requisitoria in Corte d’Assise a Chieti per il processo sulla discarica di Bussi. Diciannove imputati dovranno rispondere di disastro ambientale e avvelelnamento doloso perché “Tutti sapevano e nessuno parlava”, hanno sottolineato i pubblici ministeri, ricostruendo le fasi dell’inchiesta e ripercorrendo la genesi infausta di quella che è stata definita la più grande discarica d’Europa.
Distanti dunque anni luce dalle “chiare fresche e dolci acque” di poetica memoria, le acque dei pozzi Sant’Angelo di Bussi sul Tirino, né si può parlare di “sapor d’acqua natia”, cantato nei versi dannunziani, citati dal pm Bellelli all’inizio della sua requisitoria, duecentottantacinque pagine, mentre la Mantini ha ricordato come già dai primi scavi effettuati nell’area sequestrata, sia stato riportato alla luce un sacco recante la scritta Montedison e definita dalla pm come una “firma”.
“Documenti alla mano, il pubblico ministero Mantini ha parlato in aula di una perfetta consapevolezza di quello che si faceva, incidendo sulla falda freatica e sull’acqua di falda che poi alimentava i pozzi dell’acquedotto pescarese”, ha dichiarato l’avvocato Tommaso Navarra, legale del Wwf, costituitosi parte civile insieme ad altri ventisei.
Il processo si aggiornerà l’11 aprile, ma prima di questa data si dovrà attendere l’8 aprile, giorno fissato in corte d’Appello all’Aquila per l’udienza sulla richiesta di ricusazione del giudice Geremia Spiniello, accusato di non imparzialità dagli imputati per alcune sue dichiarazioni.
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