29 gennaio 1979, Milano. Non sono ancora le otto e mezza del mattino quando, a piedi, un uomo porta a scuola il figlio; è appena un ragazzino, si chiama Marco. Poi l’uomo torna a casa, prende l’automobile e come ogni giorno si dirige verso l’ufficio, dove però non arriverà mai. Sulla strada, a fermarlo per sempre, c’è un commando di Prima Linea, che attacca l’automobile esplodendo otto colpi di pistola. Poche ore dopo, la stessa organizzazione così rivendicherà l’attentato: «Il gruppo di fuoco Romano Tognini “Valerio” dell’organizzazione comunista Prima Linea, ha giustiziato il sostituto procuratore della repubblica Emilio Alessandrini. Era una delle figure centrali che il comando capitalistico usa per rifondarsi come macchina militare o giudiziaria efficiente e come controllore dei comportamenti sociali e proletari sui quali intervenire quando la lotta operaia e proletaria si determina come antagonista ed eversiva». Ma il vero antagonista forse era la vittima, Emilio Alessandrini, lui sì in “prima linea” nella lotta alla criminalità. Nel corso della sua carriera, Alessandrini si è occupato di inchieste sul terrorismo, di scandali finanziari, di servizi segreti deviati e di destra eversiva. Al momento dell’assassinio stava lavorando alla costituzione di un pool anti-terrorismo. Il figlio Marco aveva otto anni, troppo giovane per un dolore così grande, troppo adulto per non ricordarlo. Ed è proprio la memoria, elemento cardine di ogni commemorazione, che guida la mano del Comune di Pescara: l’assessore Giovanna Porcaro, della giunta di centro destra che lo governa, e il consigliere del Pd Marco Alessandrini, che siede all’opposizione. Oggi, a 35 anni dall’assassinio del giudice Alessandrini, sono insieme e vicini, per la deposizione di una corona d’alloro ai piedi del monumento in memoria del magistrato pescarese.
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