Sentenza Grandi Rischi: L’Aquila, città tramortita

Gaucho

Commissione Grandi RischiUna città talmente tramortita da restare quasi anestetizzata: è l’impressione che lascia L’Aquila il giorno dopo la sentenza in Corte d’appello del processo Grandi Rischi che ha ribaltato l’esito del primo grado, assolvendo sei tra scienziati e membri della commissione, e condannato il solo Bernardo De Bernardinis, ex vice capo della Protezione Civile, a due anni con la condizionale.
“Già la città era sonnolenta di suo, ora con questo nuovo colpo in testa reagirà ancora meno”, è il laconico commento dell’avvocato Roberto Madonna, legale di un’associazione cittadina. Ma è il popolo più minuto che fotografa bene il sentimento vero della città. “Ormai sono garantisti solo per i delinquenti”, ha infatti detto Adriano, che nel sisma del 6 aprile 2009 ha perso fratello e nipote. Il gestore del giornalaio davanti a Piazza D’Armi ammette che “viviamo giorno dopo giorno senza più aspettarci nulla, le cose vanno sempre in quella direzione. Questa sentenza non starà bene a nessuno”.
Ma è proprio nell’immensità di Piazza D’Armi che il popolo aquilano ha timbrato la sua indignazione con un grandissimo striscione, lungo oltre venti metri, appeso nel luogo di maggior passaggio della città. “Grandi Rischi: molte storie ce lo hanno già insegnato… E’ inutile fare un processo quando è contro lo Stato. Vergogna!”.
E sulla presunta ‘inutilità’ di questo processo torna proprio l’avvocato Madonna quando, allargando le braccia, prima dice che “questa sentenza si innesta su un sistema come quello di Mogherini e Cucchi. Un fatto in sé magari non dice nulla, ma se inserito in un sistema, qualche cosa significherà, e tutto diventa diverso”.
Il giorno dopo negli ambienti giudiziari aquilani non c’è sconcerto solo per la sentenza in sé. “Il fatto non sussiste, la Corte d’appello non ha detto che non costituisce reato, ha detto che il fatto non c’è, non che non è colposo”, ha infatti commentato l’avvocato Maria Teresa Di Rocco che difendeva le parti civili. “Manca il nesso di casualità. Evidentemente i giudici scriveranno che non è stato dimostrato che con quelle informazioni non c’era motivo di scappare da casa – ribatte l’avvocato Antonio Valentini, uno dei promotori del processo con le sue denunce – ma condannare solo De Bernardinis non riusciamo a capirlo. Sebbene avessi già scritto di aspettarmi questa sentenza, perché non bisognava toccare i forti, qui manca il nesso di casualità. E condannare De Bernardinis a soli due anni mi permette allora – chiude con amara ironia – di andare nella mia prossima udienza dove devo difendere un automobilista che in un incidente ha ucciso una bambina e chiedere di patteggiare per venti giorni”.
Non si sono fatte attendere le reazioni di esponenti politici. “Sono abituato da sempre a rispettare le sentenze” ma “comprendo, capisco e sono profondamente vicino alle famiglie colpite da quella insuperabile tragedia”: così il presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, ha commentato la sentenza d’appello sul terremoto de L’Aquila, che ha scatenato la reazione indignata di molti familiari delle vittime. “Attendo di leggere le motivazioni”, ha aggiunto D’Alfonso, sottolineando l’importanza di “dotarsi di una normazione che consenta di reagire a situazioni di pericoli e rischi conseguenti ad allerte da catastrofi”.
“Noi sismologi abbiamo fatto tutto il possibile e l’impossibile per indicare l’alta pericolosità sismica dell’Abruzzo”, ha commentato Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) all’epoca del sisma aquilano del 2009, assolto in appello. “Abbiamo perseguito tutte le strade possibili”, ha aggiunto, “fino ad ottenere una mappa di pericolosità sismica su scala nazionale. Uno strumento pubblicato non su riviste scientifiche, ma sulla Gazzetta ufficiale”. Boschi ha ripercorso brevemente le tappe della Commissione. “Ho saputo con esattezza il 30 marzo 2009 alle 19 che l’indomani la Commissione doveva riunirsi all’Aquila”, ha ricordato. “Io ci sono arrivato preparato insieme a Giulio Selvaggi (ex direttore del Centro nazionale terremoti). Fino al momento di partire siamo stati a preparare le mappe di pericolosità sismica, con tanto di rapporto sulla sicurezza e la distribuzione delle faglie all’Aquila. E’ questo il compito di un sismologo”. Boschi ha anche ribadito che la comunicazione è per legge appannaggio della Presidenza del Consiglio dei Ministri: “C’era una convenzione fra l’Ingv e la Protezione civile per cui la comunicazione veniva affidata alla Protezione civile”. Più in generale l’ex presidente dell’Ingv ha valutato che “Quando ci sono le vittime a causa di un terremoto la colpa è delle case costruite male e non dell’evento sismico in sé. Bisogna fare prevenzione, bisogna costruire bene le abitazioni per arrivare a fare delle nostre abitazioni un luogo tranquillo dove rifugiarsi – come avviene in Giappone – e non un posto da cui dover scappare”.
Sulla sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila che ha assolto sei dei sette membri della Commissione Grandi Rischi, rideterminando la pena da sei a due anni per il solo De Bernardinis, allora ex vice capo della Protezione Civile, è intervenuto anche Franco Gabrielli,capo della Protezione Civile: “I giudici giudicano per le prove fornite nel dibattimento che spetta alla pubblica accusa portare: evidentemente se c’è stato un problema non è dovuto ad un condizionamento esterno ma a quel che è stato portato al giudice”. Gabrielli in particolare si riferiva a quanto sostenuto dal procuratore generale Romolo Como che, nella sua arringa di qualche settimana fa aveva “stigmatizzato come un tentativo di disinformazione le mie valutazioni su alcune espressioni contenute nella sentenza di primo grado”. Critiche che, conclude Gabrielli, “rimando al mittente”.
“Rispetto il dolore dei familiari delle vittime del terremoto che in aula hanno gridato ‘vergogna’ alla lettura della sentenza di assoluzione. Io in primo grado ero stato condannato a sei anni per aver provocato la morte dei loro cari, ma non mi sono mai sentito colpevole di omicidio. Una responsabilità della tragedia avvenuta c’è, ma non è la mia. Non auguro a nessuno la sofferenza che ho provato nel processo”: con queste parole Giulio Selvaggi, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ed ex direttore del Centro nazionale terremoti, si esprime all’indomani della sentenza del processo alla Commissione Grandi Rischi. “Questa vicenda ci impone una riflessione sul rapporto tra la scienza e una società che avrà sempre più a che fare con problemi di rischio. La popolazione aumenta e vive in aree pericolose”, osserva Selvaggi. “Noi scienziati siamo chiamati a svolgere un lavoro che ha riflessi diretti sulle scelte politiche. E di problemi simili ne avremo sempre di più. In un’area ad elevata pericolosità bisogna essere preoccupati sempre, a meno che siamo certi di vivere in una struttura sicura”, spiega Selvaggi. “È risaputo che le scosse di terremoto non possono essere previste. Dopo ogni evento ci sono sempre le scosse successive di assestamento ma non prevedibili quanto ad intensità. Quindi non possiamo fare previsioni per il futuro”.

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