Non solo stranieri che arrivano all’Aquila con il miraggio di un lavoro, ma anche tanti aquilani al di sotto della soglia di povertà, che non ce la fanno a mandare i figli a scuola, a fare la spesa, a pagare le bollette o le cartelle esattoriali di Equitalia. E poi madri sole con bambini piccoli, o minori senza punti di riferimento. Cambia il volto della povertà all’Aquila: aumentano le famiglie che si rivolgono alle strutture di assistenza. Le stesse strutture, sempre meno finanziate e oggetto di tagli, fanno quello che possono per raccogliere beni di prima necessità per chi ne ha bisogno. Situazioni con cui, ogni giorno, devono vedersela gli operatori sociali, i volontari, i parroci della Caritas diocesana (che dal post-sisma ha sede a Coppito) con il centro immigrati e il centro di ascolto; oppure della Mensa celestiniana gestita dalla onlus Fraterna Tau, in grado offrire un pasto caldo ad un’ottantina di persone. Ma esiste una povertà nascosta, difficile da raggiungere, fatta di persone che prima del sisma avevano una vita normale, e che ora fanno la fila alla mensa celestiniana per portare via qualcosa, in anonimato. Ogni settimana la Caritas registra almeno due o tre nuovi “ingressi”. Abolita la Agea, l’Agenzia per l’erogazione di beni freschi di prima necessità, ora si può contare soltanto sulla beneficenza e sulla solidarietà delle persone. Il Fondo anticrisi nazionale, mette a disposizione della Caritas dell’Aquila diecimila euro per finanziare una serie di attività, soprattutto rivolte ai giovani e alle famiglie, come l’acquisto di libri o il pagamento di abbonamenti per il trasporto pubblico scolare, ma anche per comperare farmaci e sostenere qualche rata di mutuo. Anche tanti i supermercati della grande distribuzione donano quintali di prodotti, restando nell’anonimato. (Marianna Gianforte)
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