Morte Morosini, le parole del medico del 118

Morte Morosini, il medico del 118, Vito Molfese dichiara: “non ho fatto nulla di sbagliato e non ho omesso di fare alcunché”.

“Resta l’amarezza per la morte di un ragazzo di 26 anni, però quel giorno non ho fatto nulla di sbagliato e non ho omesso di fare alcunché. Ho svolto per trent’anni la mia professione con senso del dovere e rispetto per il prossimo, in giro per Pescara ci sono tante persone che ho defibrillato, salvando loro la vita, come accaduto una volta al mare o un’altra volta alla piscina del Don Orione”.

Così Vito Molfese, medico del 118 di Pescara, il giorno dopo la condanna in primo grado a un anno di reclusione, pena sospesa, per la morte di Piermario Morosini, avvenuta il 14 aprile 2012, dopo che il calciatore si accasciò sul terreno di gioco durante la partita del campionato di serie B Pescara-Livorno. Insieme a Molfese sono stati condannati a otto mesi di reclusione, pena sospesa, i medici sociali del Livorno e del Pescara, Manlio Porcellini ed Ernesto Sabatini. Secondo il pm, Gennaro Varone, ci furono carenze nelle procedure di soccorso, legate in particolare al mancato utilizzo del defibrillatore, nonostante se ne contassero due sul terreno di gioco e un terzo a bordo di un’ambulanza. Il pm aveva chiesto l’assoluzione per i medici delle due squadre, che invece il giudice ha condannato, mentre aveva additato come unico responsabile Molfese, indicandolo come il più qualificato per compiere quel tipo di intervento.

“Sulla base dei filmati io arrivai in campo dopo 2 minuti e 40 secondi, quando due medici sportivi stavano già operando – ricorda Molfese – Si tratta di medici qualificati e competenti, Sabatini ha lavorato per 25 anni al Pronto soccorso di Penne (Pescara), è un istruttore che insegna a utilizzare il defibrillatore e io portavo mio figlio da lui, al centro di Medicina dello Sport, a fare le prove da sforzo. C’erano anche altre persone, tra le quali un infermiere professionale, non potevo buttarmi in quel capannello e dire ‘adesso si fa come dico io’ – prosegue – Sarei potuto intervenire, sulla base dei protocolli di pronto soccorso, solo in caso di affidamento, ovvero qualora gli altri medici attorno a Morosini mi avessero detto che non erano in grado di andare avanti e mi avessero spiegato cosa avevano fatto fino a quel momento”. Nel corso del dibattimento la difesa di Molfese ha ricordato che “appena 20 secondi dopo sopraggiunge anche il primario del reparto di Cardiologia dell’ospedale di Pescara, Leonardo Paloscia, ovvero una delle massime autorità in materia, che però ha visto la propria posizione archiviata”. La difesa di Molfese, affidata all’avvocato Alberto Lorenzi, ha messo in luce soprattutto la mancanza di chiarezza e l’assenza di un piano operativo sulla base del quale fosse chiaro chi aveva il compito di intervenire. “E se quel piano c’era – ha detto ieri, in aula, Lorenzi – andrebbe spiegato come mai nessuno si prese la briga di notificarlo al 118”. Lo stesso Lorenzi, nel corso dell’arringa difensiva, aveva chiesto la nullità dell’imputazione, spiegando di non sapere neanche da cosa avrebbe dovuto difendere il suo assistito, data l’assenza di fonti normative che spiegassero le ragioni per le quali Molfese avrebbe dovuto assumere la guida delle operazioni. Si è parlato di una convenzione tra Asl di Pescara e Pescara Calcio, in base alla quale il servizio di 118 si sarebbe dovuto occupare anche di quanto avveniva in campo. Una convenzione che però, a quel tempo, non risultava operativa. “Nessuno informò il 118 dell’esistenza di questa convenzione e per noi era attiva solo la vecchia convenzione, che ci imponeva di occuparci degli spettatori – conferma Molfese – tanto è vero che la mia postazione era l’ambulatorio al di sotto della tribuna Majella, all’esterno degli spalti, e solo per una casualità quel giorno mi trovai a transitare sulle tribune”.