Sisma, nasce l’osservatorio fotografico: già oltre 10mila scatti

C’è il forte spagnolo con le impalcature della ricostruzione, il signore attempato che dà un calcio al pallone davanti alla scuola ospitata nel Musp. C’è il ritratto della donna disabile stancamente appoggiata allo schienale di una sedia.

ci sono le macerie dei crolli a Onna e in tante frazioni dell’Aquila, gli anziani in attesa di un ritorno alla normalità che, forse, non vedranno mai più. Ma ci sono anche le strade dell’Irpinia e le sue baracche che ancora raccontano il sisma del 23 novembre 1980.

E poi gli scorci di dolore ad Amatrice e Norcia, scenario di un altro drammatico terremoto, la stanchezza dei vigili del fuoco operanti a Norcia, la basilica di San Benedetto crollata a Norcia. Un viaggio nell’Italia crollata sotto al peso del terremoto negli ultimi 40 anni quello del primo osservatorio fotografico permanente sull’Italia del dopo-sisma presentato oggi a palazzo Fibbioni, realizzato da 62 fotografi in 200 fotogallery diverse e con oltre 10mila scatti. Un’inziativa completamente autofinanziata e no profit ideata dal giornalista di Repubblica, Antonio Di Giacomo, e che prende il nome di un vecchio film: “Lo stato delle cose”.

Lo scopo è aprire uno sguardo costante sul Paese colpito dal terremoto, raccontando non solo L’Aquila, da cui prende l’avvio, ma gli effetti dei sismi che hanno devastato il centro Italia dal 24 agosto scorso in poi. A firmare questa sorta di museo virtuale e archivio documentale che parla per mmagini anziché per numeri e dati, sono alcuni dei più grandi fotografi italiani, come Gianluca Panella e Massimo Mastrorillo, e documentaristi come Dario Coletti, Simone Cerio, Allegra Martin, solo per citarne alcuni.

Di scossa in scossa – si legge nella presentazione del progetto – fino alla più devastante del 30 ottobre a Norcia la paura è entrata nell’agenda del quotidiano in quattro regioni nel cuore del Paese: il Lazio, l’Umbria, le Marche e appunto l’Abruzzo. Anche a L’Aquila dove il terrore e il disorientamento sono tornati prepotentemente all’ordine del giorno. Uno scenario tale da imporre un ripensamento generale del progetto che intende proporsi come un osservatorio sul doposisma in Italia, avendo acquisito la consapevolezza che se documentare attraverso la fotografia equivale a una sorta di prendersi cura del cuore più fragile dell’Italia è indispensabile non smettere di farlo. E’ per questo che si è tornati a fotografare a L’Aquila fino alla fiaccolata del 6 aprile 2017, nell’intento di prendere atto non solo degli effetti dei terremoti del 2016 e del 18 gennaio 2017 che pure hanno colpito alcuni beni culturali ma anche di quei segnali necessari di rinascita come la riaccensione di un simbolo per la città come la Fontana luminosa. Immagini che si aggiungono alle migliaia del reportage collettivo che nel 2016 ha documentato la vita quotidiana all’interno dei quartieri satellite con le architetture sempre uguali dei Map e Progetto Case, i cantieri della ricostruzione, lo stato del recupero dei beni culturali e i luoghi della resistenza nel quotidiano. Lì dove cittadini e lavoratori aquilani vivono giorno dopo giorno in uno stato di disagio tangibile, e naturalmente i luoghi del tempo sospeso, ovvero le aree dell’Aquila e delle sue frazioni, così come dei centri dell’Aquilano, dove le lancette dell’orologio sono rimaste ancora ferme al 6 aprile 2009.
Oltre L’Aquila, allora, dalla quale tutto è partito il primo sforzo – reso possibile dall’adesione di un numero complessivo di 60 fotografi che hanno condiviso le finalità sociali e documentarie dello Stato delle cose – è così rappresentare gli effetti della sequenza di terremoti che ha devastato il Centro Italia dal 24 agosto 2016 in avanti. L’obiettivo dello Stato delle cose, oltre la fisiologica attenzione mediatica e la conseguente onda di solidarietà all’indomani di queste catastrofi, è far sì che non si spenga l’attenzione sui luoghi colpiti dal sisma in una prospettiva di aiuto alla rinascita di questi territori, documentandone così non solo l’eloquenza tragica delle macerie ma anche le istanze e le situazioni nelle quali le comunità territoriali esprimono la loro voglia di riscatto e di riappropriarsi delle città e dei luoghi che gli appartengono. E ancora. Dinanzi all’acquisita consapevolezza della fragilità del cuore del Paese, si è ritenuto di dover allargare lo sguardo anche a quell’altra Italia colpita dal terremoto nel passato e dove, nonostante i decenni trascorsi, le cicatrici sono ancora fresche. Ecco i reportage nei luoghi colpiti dal terremoto durante la seconda metà del Novecento: dal sisma del Belice fino a quello del 23 novembre 1980 in Irpinia. Una narrazione che non può dirsi esaustiva, naturalmente. E’ un inizio. Sono le fondamenta di un cantiere, insomma, per dare vita a un osservatorio per non dimenticare e continuare a raccontare le geografie e le storie del doposisma in Italia.

https://www.youtube.com/watch?v=fAtJQwx6t_Y