Morte Morosini, in Tribunale l’infermiere del 118

Processo morte calciatore Morosini, parla l’infermiere del 118. Stamani davanti al tribunale monocratico di Pescara, Marco Di Francesco, infermiere del 118 che il 14 aprile 2012 era in servizio come volontario della Misericordia, allo Stadio Adriatico di Pescara, durante la partita Pescara-Livorno, nel corso della quale perse la vita il calciatore 25 enne Piermario Morosini, è stato ascoltato come testimone.

“Quando sono arrivato in campo c’erano già il medico del Pescara Sabatini e quello del Livorno Porcellini, il defibrillatore era aperto all’altezza della testa di Morosini, ma non so se era acceso, e io ho segnalato per due volte che c’era il defibrillatore, ma nessuno lo ha utilizzato e nessuno mi ha detto di utilizzarlo”. Così questa mattina, davanti al tribunale monocratico di Pescara, Marco Di Francesco, infermiere del 118 che il 14 aprile 2012 era in servizio come volontario della Misericordia, allo Stadio Adriatico di Pescara, durante la partita Pescara-Livorno, nel corso della quale perse la vita il calciatore 25enne Piermario Morosini. Il decesso, secondo quanto accertato dall’autopsia, venne causato da un arresto cardiaco dovuto ad una cardiomiopatia aritmogena. Di Francesco è uno dei sette testimoni citati dal pm Gennaro Varone, sfilati oggi davanti al giudice Laura D’Argangelo insieme ai quattro periti della Procura. Nell’ambito del procedimento, che ruota principalmente attorno al mancato utilizzo del defibrillatore prima dell’arrivo di Morosini in ospedale, sono imputati, con l’accusa di omicidio colposo, i medici del Pescara, Ernesto Sabatini, del Livorno, Manlio Porcellini e del 118 di Pescara, Vito Molfese. Gli ultimi due questa mattina erano presenti in aula. “Normalmente chi arriva prima guida le operazioni – ha proseguito Di Francesco -. Non so chi arrivò prima quel giorno, ma Porcellini stava eseguendo un massaggio su Morosini, dunque è probabile che sia arrivato lui per primo e che fosse lui il leader in quel momento. Molfese ha soltanto guardato e non ha fatto niente – ha aggiunto l’infermiere -. C’era una grande confusione e nessuno dava disposizioni”. Attraverso le testimonianze sono stati ricostruiti tutti i passaggi principali, dal momento in cui Morosini si è accasciato a terra, al ventinovesimo minuto del primo tempo, fino all’arrivo al pronto soccorso di Pescara. “Quando entrai in campo con la barella, mi accorsi subito che il giocatore non stava bene – ha riferito Andrea Silvestre, volontario della Croce Rossa che quel giorno si trovava a bordo campo -. Per precauzione andai a prendere il defibrillatore e lo aprii vicino alla testa del giocatore, senza accenderlo”. A precisa domanda del pm, Silvestre ha risposto: “Non ho sentito nessuno dire di utilizzare il defibrillatore”. Circostanze confermate dall’infermiere del 118 Bruno Rossi e dalle volontarie della Croce Rossa Claudia Compagnoni e Alessia Consigli, tutti e tre in servizio allo stadio Adriatico il 14 aprile del 2012. “Ero sull’ambulanza che trasportò Morosini in ospedale e ricordo che il dottor Paloscia eseguì un massaggio cardiaco durante il percorso – è uno dei passaggi della testimonianza di Giacomo Bolognesi, fisioterapista del Livorno calcio -. Qualcuno disse di utilizzare il defibrillatore, ma non venne fatto”.

Il defibrillatore venne applicato solo in seguito, al Pronto Soccorso di Pescara, ma per il calciatore non c’era più nulla da fare.

La testimonianza del medico legale Cristian D’Ovidio:

Il medico legale Cristian D’Ovidio, che ha effettuato l’autopsia sul corpo di Piermario Morosini. Alla perizia hanno collaborato Giulia D’Amati dell’Universita’ La Sapienza di Roma, esperta in cardiologia e genetica la quale  ha parlato del mancato utilizzo del defibrillatore, Simona Martello dell’Universita’ di Tor Vergata, esperta in tossicologia, e Raffaele Del Caterino, ordinario di Cardiologia all’Universita’ d’Annunzio di Chieti-Pescara. Nella vicenda sono imputati il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini, il medico del Pescara Ernesto Sabatini, e il medico del 118 in servizio quel giorno allo stadio, Vito Molfese. I tre sono accusati di omicidio colposo. Nel mirino dell’accusa il mancato uso del defibrillatore.

Il dottor D’Ovidio nel corso dell’udienza odierna ha detto che “Le procedure seguite sul campo da gioco per soccorrere Morosini hanno evidenziato una condotta attiva volta a salvare la vita del giocatore, ma sono risultate non conformi alle linee guida internazionali con riferimento al mancato utilizzo del defibrillatore, che in questi casi e’ indispensabile e alle modalita’ di rianimazione polmonare, apparse non sufficientemente corrette. Una lesione cicatriziale al ventricolo sinistro e’ alla base dell’insorgere, sotto lo sforzo fisico, della fibrillazione ventricolare poi evoluta verso la morte . La lesione e’ attribuibile, in prima ipotesi, ad una cardiopatia aritmogena”.

Relativamente alle operazioni di soccorso, esaminate anche attraverso la visione dei filmati, D’Ovidio ha evidenziato che il primo ad arrivare, dopo 12 secondi dal momento in cui Morosini si accascio’ a terra, fu il medico del Livorno Manlio Porcellini, raggiunto pochi attimi dopo dal medico del Pescara Ernesto Sabatini.

“Le operazioni iniziali sono apparse corrette . Poi, pero’, e’ stato portato in campo il defibrillatore, che non e’ stato utilizzato ne’ sul terreno di gioco e ne’ sull’autoambulanza, nonostante sul mezzo ce ne fossero due perfettamente funzionanti.Un soggetto giovane come Morosini, con un circolo arterioso molto valido, specie con riferimento al circuito cerebrale, puo’ riprendersi immediatamente con il defibrillatore.

D’Ovidio ha poi parlato della questione legata alle responsabilita’ di chi avrebbe dovuto intervenire e assumere il controllo delle operazioni, chiamando in causa il medico del 118 Vito Molfese.

“Molfese si trovava a 70 metri dal punto in cui il giocatore era disteso e sarebbe potuto intervenire prima, senza attendere che venisse spostato il mezzo che ostruiva l’accesso dell’ambulanza. Una volta giunto sul posto ha compiuto solo una fugace palpazione del polso, senza mettere in atto altri interventi diagnostici o terapeutici. Era il medico del 118 la persona piu’ qualificata ed esperta, che avrebbe dovuto effettuare la rianimazione di un paziente in arresto cardiaco. Una conclusione contestata non solo dalla difesa di Molfese, ma anche dal professor Del Caterino. Sull’unicita’ delle responsabilita’  non mi trovo d’accordo”.