Il Gigante di Acciano, storie e leggende dell’Abruzzo nascosto

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La storia per lo più sconosciuta di Giuseppe Catoni, noto come “Il Gigante di Acciano” che fece parlare di sé nel mondo nell’800.

E’ il biografo ufficiale di Giuseppe Catoni, Silvio Di Giacomo, a scrivere: “[…] fu un gigante vero, dal corpo armonioso, dai muscoli d’acciaio, dotato di una forza al di sopra di ogni essere umano, insomma un atleta grande che fece parlare le nostrane ed estere genti”.

Il Gigante nacque, il 18 novembre 1820, ad Acciano, comune della provincia dell’Aquila nel Parco Regionale Sirente-Velino. All’anagrafe fu erroneamente registrato con il cognome Catoni, invece di Catonio, e così fu generalmente chiamato in seguito. Il bambino, fin dalla sua nascita, apparve straordinariamente grande: “I vestiti e le scarpe fatti quindici giorni prima non gli stavano più bene il sedicesimo”. A sedici anni era già alto due metri, e continuò a crescere fino a quando raggiunse la massima altezza di  2 metri e 25 a 24 anni. Misura eccezionale, nel 1800, quando l’altezza media dell’uomo era più bassa di circa 20 cm nei confronti di quella attuale. E c’era una leggenda, attorno all’altezza smisurata del giovane: secondo gli abitanti del posto, sua madre, un giorno, tornando stanca dal lavoro dei campi, si era fermata, per raccogliere le forze, davanti alla chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Lorenzo. Colpita dall’enorme figura di S. Cristoforo, ritratto sulla facciata principale, la donna, essendo incinta, pregò Dio e i santi protettori, S. Petronilla e S. Antonio, affinché potesse avere un figlio di così straordinarie proporzioni.

(Sotto veduta del borgo di Acciano)

Giuseppe Catoni, restò ad Acciano fino all’età di 24 anni: non potendo studiare, come molti suoi coetanei di allora, perché doveva aiutare i suoi congiunti nei campi, non imparò né a leggere né a scrivere. Aveva deciso di trasferirsi a Roma ma, mentre passava per L’Aquila, fu assoldato da tale Luigi Falconi che lo mise in esposizione, a pagamento, sotto il nome di “Gigante di Acciano”. Svilito da questa esperienza, riprese il viaggio per Roma, e, per un periodo, lavorò a Civitavecchia tra gli “Scassati”, i lavoratori delle vigne. Si racconta che, una volta, nel campo dove stavano facendo lo “scasso”, c’era un mandorlo che doveva essere spiantato. Giuseppe scommise, con alcuni amici, che lo avrebbe sradicato per una “buona mangiata di spaghetti”: e così fece. Si avvicinò all’albero, lo abbracciò e lo strappò dal terreno, tra la meraviglia di tutti. Il Gigante si mise il mandorlo sulle spalle e lo portò a Civitavecchia, dove a stento riuscì a farlo passare dalla porta della città. L’episodio girò di bocca in bocca e una compagnia di saltimbanchi lo ingaggiò, per farlo esibire sulle varie piazze d’Italia, quale “fenomeno di statura e di forza”.

Capendo la forza della sua statura e anche dei benefici, Giuseppe si staccò dalla compagnia di saltimbanchi e raggiunse Parigi, dove cominciò ad esibirsi da solo, nelle varie piazze, su palchi improvvisati. Si racconta che un giorno i Francesi gli opposero un famoso lottatore; questi, alla vista di Giuseppe, rimase intimorito e gli offrì una forte somma di denaro, in cambio della sua vittoria. Dappira il Gigante, accettò la somma e lo fece vincere, poi, però, per orgoglio lo affrontò ancora e vinse. Questa vittoria e il suo straordinario fisico, lo resero celebre, tanto che fu chiamato alla corte del re di Francia, Luigi Filippo d’Orléans, come “guardardaportone”, con un favoloso stipendio. Quando il sovrano fu detronizzato dopo la rivoluzione del febbraio 1848, Giuseppe, insieme ad una cameriera della casa reale, abbandonò la Francia, e girovagò per l’Europa “accumulando sempre più denaro con la forza che esibiva tra la meraviglia della folla”.

Di seguito fu assunto come “guardaportone” imperiale a Pietroburgo, allora capitale della Russia, ma nel 1850, quando pensò di aver guadagnato abbastanza per vivere agiatamente, decise di tornare ad Acciano, in compagnia della cameriera francese che, però, dopo poco ritornò in Francia. Il trentuno gennaio 1860, a trentanove anni, il Gigante sposò Donna Agnese Camilli, 22 enne, figlia di Don Vincenzo e di Donna Rosaria dei baroni Pietropaoli. Dal matrimonio nacquero due maschi e quattro femmine. “Trascorse la vita insieme ai suoi famigliari, vivendo agiatamente con la rendita dei terreni acquistati e dati in fitto alla povera gente del paese, e con gli interessi sui mutui che concedeva a chi gliene faceva richiesta”.

Quando fu più anziano, e si ritenne che il Gigante non avrebbe vissuto per ancora tanto tempo, inglesi, francesi e italiani se lo contesero, offrendo ai figli forti somme di denaro “per averne il corpo dopo la morte e studiarne la possanza fisica”. Forse perché l’offerta del governo italiano fu maggiore, forse perché spinti dall’amor patrio e dalla possibilità di visitare il suo scheletro, i famigliari accettarono l’offerta italiana che, secondo quanto si racconta, fu di lire cinquemila. Aveva settant’anni, il “Gigante di Acciano”, quando fu colpito da una grave polmonite che lo porto alla morte, l’8 marzo 1890. Lo scheletro di Catoni fu studiato e relazionato dal Dott. Michele Giuliani che, dopo accurata analisi, così scrisse: “[…] fra gli scheletri dei giganti fino ad ora studiati, quello di Giuseppe Catoni occupa il decimo posto.”

Lo studio dello scheletro del “Gigante di Acciano” contribuì in maniera determinante, come si legge nella relazione del dottor Giuliani, allo sviluppo della ricerca sulla macrosomia, ma, ironia della storia, dopo tante ricerche effettuate, lo scheletro di Giuseppe Catoni è, ancora oggi, introvabile. Recandosi nella cittadina di Acciano, però, oltre ad ammirare preziose bellezze artistiche, è possibile visitare la casa del Gigante, sulla cui facciata principale è posta una lapide ricordo che lo ricorda.