Chieti, richiusi gli scavi di piazza San Giustino

A Chieti richiusi gli scavi archeologici emersi durante i lavori per il rifacimento di piazza San Giustino. Sono tornati nel buio la cisterna idrica e il locale risalenti alla fine dell’Ottocento.

 

Siamo sicuri che, quando si dice “stendere un velo pietoso” si intenda proprio questo, ossia seppellire sotto terra ciò che non riusciamo a valorizzare? I fatti parlano: purtroppo, anche in questo caso, quel famoso velo viene utilizzato per nascondere la generale inadeguatezza di un Paese che non riesce a custodire il proprio patrimonio. Quello di Chieti non è né il primo né l’unico del genere, visto che il suolo italiano è ricco di tesori di cui gli uomini non riescono a prendersi cura. La vicenda degli scavi svelati in piazza San Giustino è una delle tante che si sono tirate dietro commenti laconici e rassegnati. Ormai il velo pietoso ha assunto le ben più pesanti fattezze di un lastrone di cemento, sopra al quale sono già scese diverse palate di terra; un ulteriore manto di asfalto riporterà poi l’antica cisterna alla condanna cui, solo per un po’, era sfuggita: il buio del sottosuolo. Fino a quando? E chi lo sa. I reperti archeologici hanno questo di brutto: sappiamo da quale epoca provengono, ma non quando saranno riportati alla luce.

Gli scavi, avviati nel mese di agosto, avevano lasciato emergere l’interessante cisterna larga 13 metri e alta 9, costruita intorno al 1880 e adibita a riserva d’acqua prima della costruzione dell’acquedotto. Sempre nell’area della Cattedrale di San Giustino era stato scoperto anche un locale sotterraneo a volta di circa 6 metri di larghezza e 12 di lunghezza, mentre al centro della piazza sarebbe ancora nascosto un mosaico romano che, soprattutto lui, meriterebbe di essere valorizzato. Per sistemare la piazza – dal nuovo look ai vecchi reperti – occorre almeno un milione e mezzo di euro, somma che fino a poco fa era disponibile e ora non più, a causa del contestato stop al decreto periferie deciso dal Governo gialloverde. Vedremo se il dimissionario sindaco Di Primio e altri che lo seguiranno riusciranno sollevare quel velo impietoso che continuiamo a stendere sopra alla cronica carenza di fondi destinati al patrimonio culturale italiano.