Anche a San Valentino troppa violenza sulle donne

C’è quella fisica e quella psicologica, quella economica e quella professionale. Una esistenza la rovina, annienta, spegne. Una dignità la compromette e umilia. Un corpo lo offende e sporca. E’ la violenza sulle donne.

Non è affatto un caso che anche oggi in tutta in Italia la Polizia abbia dislocato i camper antiviolenza. Non è un caso che nel giorno dei cioccolatini e dei fiori, delle cenette e delle canzoni dedicate alla radio le forze dell’ordine mettano, una volta in più, il proprio ascolto a disposizione delle tante donne ogni giorno spente da un marito molesto piuttosto che da un collega volgare, da uno sconosciuto che spezza per sempre una vita o da un padre che abusa senza coscienza. I dati lo dicono chiaro: è un fenomeno senza arresto. Ogni tre giorni e mezzo avviene l’omicidio di una donna in ambito familiare o comunque affettivo: ogni giorno 23 donne finiscono nella spirale degli atti persecutori, dei maltrattamenti, delle percosse, della violenza sessuale. Anche i recenti drammatici fatti di cronaca abruzzese raccontano di mani di uomini assassine. Quante volte ci capita di riflettere sul fatto che se anzichè ad un esile corpo di donna quella stretta fosse stata inflitta al collo di un uomo forse non ci sarebbe stata una morte, una fine. Perchè una donna deve stare attenta a dove parcheggia e un uomo no? Perchè un uomo rifiutato uccide mentre una donna lasciata nella peggiore delle ipotesi si vendica con una fiancata dell’auto rigata? Perchè a parità di titoli di studio, competenze e dedizione un uomo può arrivare a guadagnare il doppio della collega? Il camper antiviolenza non può, non vuole, dare queste risposte ma al suo interno ha il più prezioso dei doni: l’ascolto. Vi si trovano, infatti, agenti di Polizia (spesso donne) capaci di trasformare paure in denunce, violenze in riscatto. Oltre alla tutela offerta dalla legge, che va dagli strumenti dell’ammonimento al divieto di avvicinamento fino ai domiciliari e al carcere per i casi più gravi, la battaglia più importante si gioca però sul campo della prevenzione: una mamma abusata non deve rischiare di essere anche una figlia che tollera violenza e abusi. E’ su questo fronte che il camper antiviolenza della Polizia di Stato, oggi in molte piazze abruzzesi, lavora e ascolta, rassicura e protegge.

Un’idea, quella del progetto ‘Camper’ contro la violenza di genere che, partita a luglio del 2016, in circa sei mesi in 22 province italiane ha consentito di contattare oltre 18.600 persone, in maggioranza donne, diffondendo informazioni sugli strumenti di tutela e di intervenire su situazioni di violenza e stalking che diversamente sarebbero potute rimanere ingabbiate nel dolore domestico. La flessione negli ultimi due anni dei delitti tipici (dai femminicidi, alle violenze sessuali, dai maltrattamenti in famiglia agli atti persecutori) non ferma l’impegno di prevenzione: non solo perché il numero assoluto delle vittime continua ad essere inaccettabile, ma perché l’esperienza di polizia e delle associazioni da tanti anni impegnate su questi temi mostra l’esistenza di un “sommerso” che troppo spesso non si traduce in denuncia. Un quotidiano fatto di attenzioni morbose, di comportamenti aggressivi e intimidatori che vengono letti come espressione di un amore appassionato e di una gelosia innocua, anche da madri, sorelle e amiche, ma che è spesso il triste copione di un crescendo di violenza che si alimenta con l’isolamento.

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