I giudici sul Crac Merker: “il grande inganno alle banche”

45 mila rimorchi l’anno, tanto avrebbe dovuto produrre lo stabilimento Merker di Tocco da Casauria. Così le banche si lasciarono ingannare.

E’ questo solo uno degli aspetti del grande bluff legato ad un insediamento industriale che alla fine degli anni ’90 avrebbe dovuto ridare slancio al tessuto economico ed occupazionale dell’hinterland pescarese, secondo, nelle proporzioni, solo alla Sevel di Atessa. Parliamo dello stabilimento Merker di Tocco da Casauria che dopo oltre 15 anni di vicende giudiziarie ha visto scendere davanti a se il sipario con ben tre condanne per bancarotta fraudolenta. Inizialmente erano circa 30 tra indagati ed imputati poi di volta in volta usciti di scena tra prescrizioni e proscioglimenti, a marzo la sentenza per i tre rimasti a pagare per tutti: il commercialista pescarese Marino Alessandrini condannato a 4 anni e mezzo; Marcello De Niederhauser 3 anni e mezzo e Alfred Zahlaus 3 anni e tre mesi. Secondo i giudici la società poteva contare su finanziamenti spropositati, ma presentava “…nel suo assetto delle anomalie significative proprio dell’incoerenza di tutto il progetto …  insomma, era stata creata una struttura completa e sovradimensionata con una tecnologia all’avanguardia che non ha mai funzionato e che non è mai stata in grado di funzionare”. Questo hanno scritto i giudici nel motivare la loro decisione, secondo quanto emerso dal processo il meccanismo utilizzato, si legge ancora nelle motivazioni:

«faceva si che i soldi provenienti dall’approvvigionamento delle banche, attraverso complicate operazioni non avrebbero fatto altro che tornare alle casse dei soci tramite riversamento operato dalle società aventi partecipazioni in Merkerishima, in particolare Tectagon e la Ishima, società tutte costituite dopo la Merker, che provvedevano a riversare il capitale sociale all’interno della Merker come aumento di capitale sociale o come finanziamento essendo socie di Merker. Questo riversamento di denaro era peraltro funzionale a rappresentare agli istituti bancari una idonea patrimonializzazione della Merker sì da indurre a erogare ulteriori tranche di denaro. Dunque, strettamente correlato alla sovrastima del valore dell’opificio (289 miliardi delle vecchie lire) è il fatto che il capitale sociale che doveva essere approvvigionato dai soci era lo stesso capitale delle banche»

Ricordiamo che, secondo le indagini, il grande “manovratore” di tutta l’operazione fu il noto progettista Gianfranco Ramoser che ha deciso di uscire di scena con un patteggiamento qualche anno fa.