Il giudice sull’assassino di Jennifer: “subdolo e spietato”

Le motivazioni alla condanna a 30 anni di Davide Troilo, l’uomo che il 2 dicembre del 2016, ha ucciso la ex fidanzata Jennifer Sterlecchini a Pescara.

Il Gup Nicola Colantonio non lascia spazio alla benché minima parvenza di attenuante nel motivare la condanna a 30 anni di reclusione, ma solo per la scelta del rito abbreviato, altrimenti sarebbe stato quasi certamente ergastolo, per Davide Troilo, il 34enne che la mattina del 2 dicembre del 2016, uccise con 17 coltellate la ex fidanzata, la 26enne Jennifer Sterlecchini, nel loro appartamento di Via Acquatorbida, da dove la giovane aveva deciso di andare via. Fin dall’inizio é apparso evidente come l’uomo abbia cercato delle scappatoie, fingendo un aggressione da parte di Jennifer, atteggiamento poi confermato alla vigilia del processo, quando i suoi legali tentarono la via dell’insanità mentale. Ma il tribunale di Pescara, in particolare il Gup Colantonio, non si é lasciato fuorviare, giungendo, sulla base dei riscontri raccolti dagli investigatori, ad un giudizio inequivocabile di colpevolezza, ma soprattutto di lucida volontarietà. Scrive il giudice:

«Anche il meschino tentativo di simulare un’aggressione reciproca con ferite autoinferte, confermano che l’aggressione della donna era l’obiettivo precipuo di Troilo che era maturato nel momento in cui si stava discutendo della fine della relazione sentimentale e del suo diritto ad ottenere la restituzione di un tablet. E’ palese -scrive ancora  Colantonio – che Jennifer veniva attinta da colpi etero inferti con violenza dall’imputato. Di contro, può affermarsi che Troilo si era cagionato le lesioni autonomamente solo dopo aver colpito a morte Jennifer.  È incontestabile – aggiunge Colantonio- che Troilo nel corso di un litigio intervenuto a seguito della cessazione della relazione sentimentale, dopo aver chiuso subdolamente la porta d’ingresso per impedire l’accesso nell’appartamento alla madre e all’amica di Jennifer, nel momento in cui si stava discutendo sul diritto ad ottenere la restituzione di un tablet, improvvisamente e con inaudita violenza colpiva ripetutamente Jennifer.  Mentre Jennifer era agonizzante a terra in un lago di sangue, si recava in bagno e, davanti allo specchio, si autoinfliggeva le lievi ferite rilevate poi sul suo corpo, per poi aprire la porta (evidentemente per farsi soccorrere) e distendersi vicino alla vittima per simulare di essere stato a sua volta aggredito».

Valutazioni che sembrano escludere del tutto l’omicidio d’impeto, e che portano il giudice a ritenere che Troilo abbia commesso il crimine e  con estrema lucidità escogitato anche un piano per eludere l’azione della polizia giudiziaria. Il tutto per uno stupido tablet che Troilo pretendeva gli venisse restituito, come se quel bene materiale fosse più importante della vita stessa della povera Jennifer:

«L’imputato-  conclude Colantonio – ha dimostrato di essere soggetto assolutamente privo di autocontrollo, che è stato capace di porre in essere una condotta violenta efferata, adducendo motivi futili e banali, in danno di una persona inerme ed indifesa ».