Caso Straccia: Il Gip archivia il caso

 

Caso Straccia: Il Gip archivia il caso, non ci sono condotte di rilievo penale tali, secondo il giudice , da approfondire le indagini su ipotesi diverse quelle indicate nella prima archiviazione.

Il gip del tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, ha deciso sul  caso riguardante la morte di Roberto Straccia, lo studente universitario di 24 anni di Moresco (Fermo) scomparso da Pescara il 14 dicembre del 2011, dopo essere uscito di casa per andare a correre, e rinvenuto cadavere il 7 gennaio 2012 a Bari. Sette pagine nelle quali  ha affrontato punto per punto la richiesta di opposizione e ha disposto l’archiviazione ritenendo che “alcuno degli elementi di indagine proposti dalle parti offese, presenti i caratteri della rilevanza apparendo gli stessi non in grado di sconfessare l’assunto del pm in ordine all’insussistenza di condotte di rilievo penale connesse alla morte di Roberto Straccia”. Il procedimento aperto nel 2011 dal pm del Tribunale di Pescara, Giuseppe Bellelli, oggi procuratore capo a Sulmona (L’Aquila), per morte accidentale o per cause volontarie era stato archiviato una prima volta il 21 giugno del 2013 e poi riaperto a seguito della richiesta del legale della famiglia Straccia, Marilena Mecchi, presentata alla Corte d’Appello dell’Aquila. Sul caso nel 2012 era stato aperto e poi archiviato anche un secondo fascicolo, dopo che la fidanzata di un pentito dichiaro’ che lo studente universitario era stato ucciso da alcuni pregiudicati calabresi, indotti in errore dalla foto pubblicata sul profilo Facebook del ragazzo. E anche in virtu’ di questi nuovi elementi legati ad un presunto scambio di persona che i familiari di Roberto Straccia, si sono opposti alla nuova richiesta di archiviazione della Procura di Pescara, ma il gup dopo una minuziosa analisi ha deciso di archiviare l’inchiesta . I familiari, tramite l’avvocato Mecchi, si sono, inoltre, opposti alla richiesta di archiviazione anche sostenendo l’incompletezza delle indagini e rilevando, in particolare, l’omessa analisi di tabulati che a loro dire avrebbe consentito di ricostruire tutti gli spostamenti di Roberto; la necessita’ di disporre ulteriori accertamenti sulla sabbia rinvenuta nella giacca dello studente universitario di Moresco; spunti investigativi dalle contraddizioni risultanti da alcune deposizioni e negli accessi riscontrati sul profilo Facebook del giovane in epoca successiva alla sua morte. Secondo il giudice, sarebbe destituita del “benche’ minimo fondamento” la tesi del presunto coinvolgimento della criminalita’ organizzata nella morte di Roberto, in quanto

“oltre a doversi ribadire quanto gia’ evidenziato nell’ordinanza del 21 giugno 2013 in merito all’esclusione di condotte violente causalmente ricollegabili alla morte di Roberto, va aggiunto come risulti difficilmente comprensibile ipotizzare che un’organizzazione quale quella richiamata, che ha spesso mostrato capacita’ non comuni nel perseguire le proprie raccapriccianti finalita’ delittuose, come e’ dato evincere dall’osservazione delle cronache giudiziarie, avesse dapprima effettuato le ricerche (per acquisire quale dato?) presso gli uffici dell’anagrafe, senza curasi peraltro dei sospetti che in tal modo avrebbe destato, per individuare la vittima designata; quindi in assenza della documentazione richiesta, avesse ripiegato sul social network Facebook effettuando un ricerca sulla base dei soli dati somatici ritenendo di aver individuato dunque il soggetto da colpire”.  Per il giudice, “a sconfessare ulteriormente tale fantasiosa ricostruzione va poi considerato non solo come appare arduo comprendere come, gli autori di tale azione una volta scoperto l’errore, si siano potuti comunque sentire appagati dall’omicidio perpetrato, lasciando indenne la vittima designata (non essendovi notizia in senso contrario), ma poi non si comprenderebbe neppure le modalita’ operative dell’omicidio, dovendosi anzi evidenziare come costituisce dato tristemente noto, come gli omicidi di criminalita’ organizzata avvengano ordinariamente seguendo ‘schemi’ ben collaudati, connotati da violento ed efferato clamore quando volti ad affermare la caratura criminale degli autori o siano finalizzati a lanciare dei ‘messaggi’ ovvero, di contro, commesso in modo ‘silente’ mediante l’occultamento del cadavere rendendo difficoltoso anche il solo disvelamento dell’azione delittuosa realizzata. Ebbene, nessuna delle caratteristiche e’ ravvisabile nella specie; la morte di Roberto non appare infatti caratterizzata in alcun modo da simbolica violenza mafiosa”. Il gip inoltre, sottolinea che “la matrice violenta di tale evento viene infatti chiaramente quanto fermamente esclusa dalle emergenze tecniche ed in particolare dai rilievi autoptici, dove e’ stata espressamente esclusa la presenza di quadri patologici naturali, congeniti o acquisiti e lesioni traumatiche e loro esiti, recenti o pregresse o tracce di lesioni o segni riferibili a manovre di afferramento o di costrizione ipoteticamente poste in opera ante o post mortem, a meno di non voler ritenere che per compiere il delitto programmato, gli autori si siano limitati a spingere in acqua il giovane”. Il gip, infine, osserva che “anche le modalita’ di ritrovamento del corpo di Roberto portano ad escludere l’origine caldeggiata dalle parti offese; se infatti i fantomatici autori di tale gesto, avessero voluto far sparire il cadavere della vittima, non lo avrebbero certamente lasciato in balia delle onde, correndo il piu’ che probabile rischio del suo ritrovamento sulla spiaggia, potendosi ipotizzare mediante una variazione delle correnti che il corpo avrebbe potuto essere trasportato sul litorale; se invece avessero voluto far ritrovare il cadavere (nell’intendo di mostrar la loro capacita’ criminale) gli autori non avrebbero certamente gettato il corpo in mare, non essendo al contrario certi del suo ritrovamento”.