Abusi su minore a Villa Raspa: il Pm chiede 3 anni per Don Vito

E’ di 3 anni la pena chiesta dal Pm del Tribunale di Pescara Campochiaro per Don Vito Canto’, il sacerdote accusato di abusi su minore.

Richiesta di condanna a tre anni di reclusione per Don Vito Cantò, ex parroco della chiesa di San Camillo De Lellis di Villa Raspa di Spoltore (Pescara), accusato di abusi di natura sessuale nei confronti di un ragazzo all’epoca minorenne. La pena è stata chiesta dal pm Salvatore Campochiaro davanti al tribunale collegiale di Pescara, nell’ambito del processo con rito abbreviato. La sentenza attesa il 14 giugno. I presunti abusi si sarebbero consumati tra l’estate del 2011 e quella 2012. Nel 2013, sulla base di circostanziate segnalazioni relative ad abusi di natura sessuale nei confronti di un ragazzo all’epoca minore, il vescovo di Pescara, Tommaso Valentinetti, decise di sospendere cautelativamente don Vito Cantò, che lasciò la parrocchia e si dimise da educatore negli scout dell’Agesci. Nel 2014 iniziò il processo canonico; contestualmente i genitori del ragazzo si rivolsero alla magistratura ordinaria, che affidò le indagini alla squadra mobile di Pescara. Il processo canonico si chiuse con una condanna di divieto perpetuo a svolgere attività parrocchiali con minori.  Alla richiesta dell’accusa si è associato il legale di parte civile, Vincenzo Di Girolamo, che punta al riconoscimento della piena responsabilità dell’ex parroco. La difesa di Don Vito Cantò, rappresentata dall’avvocato Giuliano Milia, nonostante la bocciatura del ricorso presentato in Cassazione, ha invece insistito nell’affermazione del principio del “ne bis in idem”, in base al quale l’imputato, già dichiarato colpevole da un tribunale ecclesiastico, non può essere condannato due volte per lo stesso reato. In subordine la difesa ha chiesto l’assoluzione. Entrambi i legali, Di Girolamo e Milia, hanno presentato delle memorie difensive; per questo l’udienza è stata aggiornata al prossimo 14 giugno per la sentenza. Tra le pene accessorie con cui si chiuse il processo canonico, anche l’obbligo di 5 anni di vita monacale. In seguito, nel 2016, lo sviluppo delle indagini indusse il pm della Procura di Pescara, Salvatore Campochiaro, a chiedere il rinvio a giudizio, ma l’avvocato del sacerdote, Giuliano Milia, si rivolse alla Cassazione e invocò, appunto, il principio del “ne bis in idem”. La Cassazione definì “inammissibile” il ricorso del parroco e i legali della difesa presentarono lo stesso ricorso al tribunale di Pescara, dove il pm Salvatore Campochiaro e l’avvocato di parte civile Vincenzo Di Girolamo si opposero. Il tribunale, infine, scelse di posticipare la decisione sull’eccezione alle fasi successive del giudizio, quando sarebbero state disponibili le motivazioni della Cassazione. La difesa del sacerdote, a quel punto, avanzò la richiesta di rito abbreviato.